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Storia dell'Arte

Storia dell'Arte (8)

Benvenuti sul blog di Cafarotti.it, dove esploriamo l'arte, la cultura e le storie che ci ispirano. Oggi vi parlo di un artista italiano che ha lasciato un segno indelebile nel mondo della scultura e non solo: Emilio Greco. Nato l'11 ottobre 1913 a Catania, in Sicilia, Greco è stato uno scultore, incisore, medaglista, scrittore e poeta, noto per la sua capacità di catturare l'essenza umana con linee fluide e sensuali. La sua vita, segnata da umili origini e da un talento innato, lo ha portato a diventare una figura di spicco nell'arte del Novecento.Una Vita tra Pietra e BronzoEmilio Greco iniziò la sua carriera da giovanissimo: a soli tredici anni, divenne apprendista presso uno scalpellino, lavorando su monumenti funerari e imparando i segreti della pietra. Cresciuto in un ambiente modesto, il suo percorso artistico fu interrotto dalla Seconda Guerra Mondiale: arruolatosi nel 1939, fu catturato in Africa settentrionale e rilasciato nel 1942, per poi trasferirsi a Roma nel 1943. Fu proprio nella Capitale che la sua carriera decollò, con la prima mostra personale nel 1946 e incarichi prestigiosi come professore di scultura all'Accademia di Belle Arti di Carrara e poi a Napoli e Roma.Le sue opere più celebri includono sculture monumentali come il "Monumento a Pinocchio" a Collodi, realizzato nel 1956, e le porte bronzee per la Cattedrale di Orvieto, un capolavoro di armonia e dettaglio. Ma Greco non si limitò alla scultura: fu un abile incisore e illustratore, collaborando a edizioni di testi classici come le "Metamorfosi" di Ovidio o le poesie di Salvatore Quasimodo. Le sue figure femminili, in particolare, sono iconiche: curve morbide, pose eleganti che celebrano la bellezza del corpo umano con una sensualità raffinata, ispirata alla tradizione classica ma reinterpretata in chiave moderna.Non Solo Sculture: I Disegni e la Forma FemminileSe le sculture di Greco sono potenti e tridimensionali, i suoi disegni e incisioni rivelano un lato più intimo e delicato dell'artista. Nei suoi fogli, la forma femminile emerge con una grazia straordinaria: linee sinuose che catturano il movimento, il mistero e la vitalità della donna. Opere come le serie di nudi o le illustrazioni per libri mostrano un'attenzione al dettaglio che va oltre la mera rappresentazione: è un omaggio alla femminilità, resa bellissima nella sua essenza naturale e poetica. Greco stesso definiva il disegno come un "dialogo con l'anima", e nei suoi lavori grafici si vede chiaramente questa profondità emotiva.Curiosità Poco Note su Emilio GrecoOltre alle opere famose, ci sono aspetti meno conosciuti della vita e della produzione di Greco che meritano di essere scoperti. Ad esempio, pochi sanno che durante il suo periodo come prigioniero di guerra, continuò a disegnare e scolpire in modo improvvisato, mantenendo viva la sua passione artistica anche in condizioni difficili. Un'altra curiosità: Greco era un appassionato medaglista e ha creato numerose medaglie commemorative, inclusi pezzi per eventi aziendali e istituzioni, spesso in bronzo e argento, che univano arte e funzionalità. Inoltre, negli anni '60, vinse un premio al Festival di Cannes per un poster promozionale, dimostrando la sua versatilità anche nel campo del design grafico. E sapevate che ha vissuto per un breve periodo a Londra, dove ha esposto e influenzato la scena artistica britannica, stringendo amicizie con scultori come Henry Moore?La Mia Esperienza Personale con Emilio GrecoParlando di medaglie, non posso non condividere un ricordo personale che mi ha fatto scoprire questo artista. Da bambino, i miei genitori lavoravano in un'azienda che premiava i dipendenti con medaglie aziendali in bronzo e argento, firmate proprio da Emilio Greco. Ricordo vividly quando papà e mamma tornavano a casa con questi oggetti lucenti: li posavano sul tavolo della cucina, e io, incuriosito, li osservavo da vicino. Quelle forme eleganti, quei dettagli incisi con maestria, mi affascinavano. Fu così che iniziai a conoscere Greco, prima come nome su una medaglia, poi come artista straordinario. Da lì, ho approfondito le sue sculture e i suoi disegni, apprezzando sempre di più come riusciva a infondere vita e bellezza in ogni creazione. Quei piccoli tesori domestici mi hanno aperto le porte a un mondo di arte che ancora oggi mi ispira.Emilio Greco ci ha lasciato nel 1995 a Roma, ma il suo lascito vive nei musei – come quello dedicato a lui a Catania – e nelle collezioni private. Se non lo conoscete ancora, vi invito a esplorare le sue opere: scoprirete un artista che ha saputo unire tradizione e modernità, rendendo eterna la bellezza umana. Che ne pensate? Avete mai visto una sua scultura dal vivo? Condividete nei commenti!Grazie per aver letto, e alla prossima su Cafarotti.it!
Benvenuti sul nostro blog dedicato all'arte italiana del Novecento! Oggi vi porto alla scoperta di un pittore che ha saputo trasformare la quotidianità in un enigma visivo: Felice Casorati. Nato nel 1883 a Novara e scomparso nel 1963 a Torino, Casorati non è solo un artista, ma un vero e proprio architetto di atmosfere sospese, dove la figura umana diventa il fulcro di un mondo interiore profondo e misterioso. In questo articolo, esploreremo la sua vita, ma soprattutto metteremo in evidenza la sua straordinaria maestria figurativa, che lo ha reso uno dei protagonisti del Realismo Magico italiano. Preparatevi a un viaggio originale tra linee precise, colori freddi e silenzi che parlano.Le Radici di un'Artista PoliedricoFelice Casorati crebbe in una famiglia itinerante a causa del lavoro militare del padre, spostandosi tra diverse città italiane. Fin da giovane mostrò un talento per la musica – studiò pianoforte – ma problemi di salute lo spinsero ad abbandonare questo percorso. Laureato in legge all'Università di Padova per accontentare i genitori, il suo cuore batteva per l'arte. Fu intorno al 1910 che iniziò a emergere il suo stile, influenzato inizialmente dal simbolismo e dal naturalismo, per poi evolvere verso qualcosa di più introspectivo. Durante la Prima Guerra Mondiale, prestò servizio come ufficiale d'artiglieria, un'esperienza che forse accentuò il suo senso di immobilità e riflessione nelle opere successive. Negli anni '20 si stabilì a Torino, dove fondò una scuola d'arte e divenne un punto di riferimento per la generazione post-bellica.Ma ciò che rende Casorati unico non è solo la sua biografia: è il modo in cui ha saputo fondere tradizione classica con avanguardie moderne, creando un ponte tra il passato rinascimentale e il mistero metafisico di de Chirico.La Maestria Figurativa: Un Mondo di Prospettive Insolite e Silenzi EloquentiParliamo del cuore della sua arte: la maestria figurativa. Casorati non dipingeva solo figure; le scolpiva con la luce e l'ombra, trasformandole in entità eteree sospese in spazi irreali. Il suo approccio al figurativo è rigoroso, quasi matematico: composizioni simmetriche, prospettive distorte che sfidano la logica euclidea, e un uso del colore freddo – grigi, blu, ocra tenui – che evoca un'atmosfera di immobilità e introspezione. Immaginate una stanza dove il tempo si è fermato: oggetti quotidiani come specchi, libri o frutta diventano simboli di un enigma interiore, mentre le figure umane, spesso femminili e nude, appaiono come statue viventi, immerse in un silenzio che urla emozioni represse.Questa maestria emerge chiaramente nel suo rifiuto dell'astrattismo: Casorati credeva nella fedeltà alla forma reale, ma la elevava a un livello metafisico. Nei suoi ritratti, ad esempio, le prospettive insolite – come angoli obliqui o riflessi multipli – creano un senso di profondità psicologica, espandendo i piani visivi oltre il visibile. Pensate ai riflessi negli specchi, un motivo ricorrente: non sono mere decorazioni, ma porte verso l'inconscio, che ampliano lo spazio pittorico e invitano lo spettatore a interrogarsi sulla realtà. Il suo stile, influenzato dal Realismo Magico degli anni '20, adotta immagini chiare e meticolose, ma intrise di un'aura misteriosa, dove il quotidiano diventa surreale senza perdere concretezza.Casorati bilancia abilmente accademismo e anti-classicismo: libera le sue figure dalla pesantezza verista del passato, infondendole di un simbolismo elegante. Le sue nature morte non sono semplici composizioni; sono meditazioni sulla transitorietà, con oggetti disposti in equilibri precari che evocano armonia e tensione. Questa dualità – realismo impeccabile unito a un velo di mistero – lo rende un maestro ineguagliabile, capace di catturare l'essenza umana con una pennellata che è al tempo stesso precisa e poetica.Opere Iconiche: Dove la Figura Diventa PoesiaPer apprezzare appieno questa maestria, basta guardare alcune delle sue opere più celebri. Prendiamo "Conversazione Platonica" (1925): qui, figure femminili in un interno classico dialogano in un silenzio assordante, con prospettive che dilatano lo spazio e colori freddi che accentuano l'introspezione. È un esempio perfetto di come Casorati usi la figura per esplorare temi filosofici, rendendo il corpo un veicolo di idee eteree.Oppure i suoi ritratti, come quelli di donne nude in ambienti domestici: non c'è sensualità volgare, ma una dignità scultorea, con luci che modellano la forma come in una statua greca rivisitata. Nelle nature morte, oggetti banali acquisiscono vita propria, grazie a composizioni che giocano con la simmetria e l'asimmetria, creando un equilibrio instabile che affascina l'occhio. E non dimentichiamo il periodo veronese, dove il suo soggiorno "felice" – come lui stesso lo definì – ispirò opere di grande serenità, blending tradizione italiana con influenze europee.Recentemente, una retrospettiva a Palazzo Reale di Milano ha celebrato oltre cento sue opere, confermando il suo status di icona del Novecento italiano.L'Eredità di un VisionarioCasorati non fu solo pittore: come insegnante e direttore di accademia, influenzò una generazione di artisti, promuovendo un'arte che unisce rigore formale e libertà espressiva. Il suo ruolo nel Realismo Magico lo pone al fianco di giganti come Carrà e Sironi, ma con un tocco personale di eleganza piemontese. Oggi, in un'era dominata dal digitale, la sua maestria figurativa ci ricorda il potere della forma umana di raccontare storie universali.In conclusione, Felice Casorati ci insegna che l'arte vera è quella che, attraverso la maestria della figura, trasforma il visibile in invisibile, il concreto in sogno. Se non l'avete ancora fatto, visitate una sua mostra o sfogliate un catalogo: scoprirete un mondo dove ogni linea è un invito alla riflessione. Che ne pensate? Avete un'opera preferita di Casorati? Commentate qui sotto!Grazie per aver letto, e alla prossima avventura artistica

Aligi Sassu (Milano, 1912 – Pollença, 2000) è stato uno dei più grandi artisti italiani del Novecento, un pittore e scultore capace di lasciare un’impronta indelebile nel panorama artistico internazionale. La sua vita, il suo stile e le sue opere sono un intreccio di passione, innovazione e impegno sociale, con il colore rosso come firma inconfondibile della sua poetica. Tra le relazioni che hanno segnato la sua carriera spicca l’amicizia con Giacomo Manzù, un legame che ha influenzato il percorso di entrambi. In questo articolo esploriamo la vita di Sassu, il suo rapporto con Manzù, la sua tecnica, l’uso del rosso, la sua storia e alcune curiosità affascinanti.

Una Vita di Arte e Impegno Nato a Milano da padre sardo, Antonio Sassu, uno dei fondatori del Partito Socialista Italiano a Sassari, e da madre emiliana, Lina Pedretti, Aligi Sassu crebbe in un ambiente culturalmente stimolante. A soli sette anni, nel 1919, visitò la Grande Esposizione Nazionale Futurista a Milano, un’esperienza che accese la sua passione per l’arte. Grazie alle amicizie del padre, in particolare con il futurista Carlo Carrà, Sassu ebbe l’opportunità di immergersi nel mondo dell’arte fin da giovane. Nel 1921, la famiglia si trasferì a Thiesi, in Sardegna, dove i colori vivaci e i paesaggi mediterranei lasciarono un segno profondo nella sua immaginazione, specialmente l’amore per i cavalli, che divennero uno dei suoi soggetti iconici. Tornato a Milano, Sassu si iscrisse all’Accademia di Brera, ma le difficoltà economiche lo costrinsero ad abbandonare gli studi formali. Tuttavia, la sua determinazione lo portò a frequentare l’Accademia Libera e a lavorare come apprendista in una litografia, affinando le sue competenze tecniche. Nel 1928, insieme all’amico Bruno Munari, scrisse il *Manifesto della Pittura* e partecipò alla Biennale di Venezia, un debutto straordinario per un artista appena sedicenne.

L’Amicizia con Giacomo Manzù Uno dei momenti cruciali della carriera di Sassu fu l’incontro con Giacomo Manzù nel 1930 a Milano. I due giovani artisti, accomunati dalla passione per l’arte e da una visione innovativa, affittarono insieme uno studio tra il 1929 e il 1932, condividendo idee e ispirazioni. Questo periodo fu fondamentale per Sassu, che stava sviluppando il suo stile unico, influenzato dal Futurismo e da maestri come Umberto Boccioni e Diego Velázquez. Manzù, dal canto suo, era già orientato verso la scultura, ma la loro collaborazione favorì uno scambio creativo che arricchì entrambi. La loro amicizia si inserì nel contesto del gruppo *Corrente*, un movimento nato nel 1938 che si opponeva al conformismo del regime fascista, promuovendo un’arte libera e socialmente impegnata. Sassu e Manzù, insieme ad altri artisti come Renato Birolli ed Ernesto Treccani, condividevano l’idea che l’arte dovesse avere una funzione sociale, denunciando le ingiustizie e raccontando la realtà quotidiana. La loro vicinanza si rifletté anche nella partecipazione a mostre collettive, come quella del 1930 alla Galleria Milano, che segnò un momento di svolta per Sassu.) Nonostante le loro carriere abbiano preso direzioni diverse – Sassu verso una pittura vibrante e Manzù verso la scultura monumentale – il loro legame rimase un punto di riferimento, simbolo di un’epoca di fervore artistico e resistenza culturale.

La Tecnica di Aligi Sassu La tecnica di Sassu si evolve nel corso della sua carriera, spaziando dalla pittura alla scultura, dalla ceramica al mosaico, fino alla grafica e alle illustrazioni. Nei suoi esordi, influenzato dal Futurismo, Sassu sperimentò con forme anti-naturalistiche e dinamiche, come si vede in opere come *Nudo plastico* e *Uomo che si abbevera alla sorgente* (1928). Negli anni ’30, dopo un soggiorno a Parigi nel 1934, si avvicinò al post-impressionismo e agli espressionisti francesi, studiando maestri come Delacroix, Géricault, Cézanne e Van Gogh. Questo periodo segnò una svolta verso un linguaggio più realista, ma sempre intriso di emozione e colore.

Sassu era un maestro nell’uso delle tecniche miste: dalla pittura a olio agli acrilici, che adottò negli anni ’60 a Maiorca per esaltare i colori vivaci del Mediterraneo, fino alla litografia e all’acquaforte per le sue opere grafiche. La sua produzione grafica, supervisionata personalmente, è apprezzata per la capacità di mantenere l’intensità emotiva delle opere originali. Inoltre, Sassu si dedicò a grandi opere murarie, come i mosaici per la chiesa di Sant’Andrea a Pescara (1976) e il murale per la sede del Parlamento Europeo a Bruxelles (1993), dimostrando una versatilità straordinaria.

Il Colore Rosso: La Firma di Sassu Il rosso è il colore che definisce l’opera di Aligi Sassu, diventando il simbolo della sua vitalità, passione e connessione con il Mediterraneo. Questo colore, che Sassu scoprì e amò durante il suo soggiorno in Sardegna da bambino, si intensificò quando si trasferì a Maiorca nel 1963. Qui, ispirato dal sole, dal mare e dalla cultura spagnola, il rosso divenne protagonista di opere come la serie *Tauromachie* (1967), dedicata alle corride, dove il colore evoca sangue, energia e dramma. Il rosso di Sassu non è mai decorativo, ma carico di significato: rappresenta la vita, la lotta, il mito e la tragedia. Nelle sue *Uomini rossi* (1929-1934), figure mitologiche e popolari emergono in un mondo onirico, lontane dalla realtà, mentre in opere come *Crocifissione* (1941) il rosso diventa un grido di denuncia contro le ingiustizie sociali. Come scrive Dino Buzzati, a Maiorca Sassu trovò “una nuova giovinezza” nei “colori terribili e speciali” che richiamavano la sua Sardegna natale.

La Storia di Sassu: Tra Futurismo, Antifascismo e Cosmopolitismo La carriera di Sassu è segnata da un percorso eclettico e da un forte impegno civile. Negli anni ’30, il suo antifascismo lo portò a un anno di carcere a Regina Coeli nel 1937, dove realizzò disegni di soggetti mitologici e ritratti di carcerati. Dopo la grazia nel 1938, tornò a esporre, presentando per la prima volta gli *Uomini rossi* nella “Bottega di Corrente” nel 1941. Negli anni ’50 e ’60, Sassu si avvicinò al Realismo Sociale, ma senza abbandonare il suo gusto per il fantastico e il mitologico. La sua permanenza a Maiorca, dove acquistò una villa chiamata “Helenita” in onore della moglie, il soprano colombiano Helenita Olivares, segnò un periodo di grande creatività. Qui, oltre alle *Tauromachie*, realizzò paesaggi e opere ispirate alla cultura spagnola, spesso utilizzando l’acrilico per esaltare la vivacità dei colori. Sassu collaborò anche con il teatro, progettando scene e costumi per *I Vespri Siciliani* di Verdi (1973) e illustrò capolavori letterari come *I Promessi Sposi* di Manzoni e la *Divina Commedia* di Dante. La sua produzione grafica, che comprende litografie e acqueforti, è considerata un pilastro della sua eredità artistica.

Curiosità su Aligi Sassu 1. Il Nome Aligi: Sassu fu chiamato così in omaggio al protagonista de *La Figlia di Jorio* di Gabriele D’Annunzio, un nome che riflette la sensibilità poetica della sua famiglia. 2. Incontro con Picasso: Nel 1954, a Vallauris, Sassu incontrò Pablo Picasso, che gli mostrò le sue sculture. Questo incontro rafforzò il suo interesse per la ceramica e la scultura, campi in cui eccelse. 3. Fondazioni e Donazioni: Nel 1996, Sassu donò 356 opere alla città di Lugano, dando vita alla Fondazione Aligi Sassu e Helenita Olivares. Nel 1999, fondò un’altra fondazione a Maiorca, consolidando il suo legame con la Spagna. 4. Cavalli come Marchio: La passione per i cavalli, nata in Sardegna, attraversa tutta la sua opera, da dipinti come *Bianchi destrieri* a schizzi autografi, come quello conservato da Galileum Autografi. 5. Riconoscimenti Postumi: Nel 2005, il presidente italiano Carlo Azeglio Ciampi conferì a Sassu la Medaglia d’Oro per i meriti culturali, riconoscendo il suo contributo all’arte e all’educazione.

L’Eredità di Aligi Sassu Aligi Sassu è stato un artista cosmopolita, capace di coniugare il dinamismo del Futurismo, la passione del colore mediterraneo e l’impegno sociale. La sua amicizia con Manzù, la sua tecnica versatile e il suo amore per il rosso lo rendono una figura unica nel panorama del Novecento. Le sue opere, esposte in musei e collezioni private in tutto il mondo, continuano a ispirare e a emozionare, mentre le fondazioni a lui dedicate preservano il suo lascito per le generazioni future. Per chi desidera approfondire, le opere di Sassu sono disponibili presso gallerie come San Giorgio Arte e istituzioni come la Fondazione Aligi Sassu e Helenita Olivares a Lugano e Maiorca. La sua arte, come il rosso che la contraddistingue, è un grido di vita che non smette di risuonare.

Giacomo Manzù: Un Gigante della Scultura che ha Segnato la Mia Vita
Scritto da Roberto Cafarotti
Quando ero un bambino di appena sette o otto anni, ad Ardea, un piccolo comune in provincia di Roma, la mia vita ha incrociato quella di un gigante dell’arte: Giacomo Manzù. Non ero consapevole, allora, della grandezza di quell’uomo che viveva a pochi passi da casa mia, nella località di Campo del Fico, oggi ribattezzata Colle Manzù in suo onore. Ma il fascino delle sue sculture, la potenza delle sue forme e l’atmosfera della sua dimora mi hanno segnato profondamente, piantando in me un seme che avrebbe influenzato il mio percorso artistico. Questo è il mio omaggio a Manzù, un viaggio nella sua vita, nelle sue opere e nel modo in cui ha ispirato un ragazzo curioso di un piccolo paese laziale.
Un Incontro con l’Arte a Ardea
Era la metà degli anni ’80, e Ardea era un luogo semplice, immerso nella quiete della campagna pontina, non lontano dal mare. La mia famiglia viveva lì, e io, un bambino pieno di energia, passavo le giornate esplorando i dintorni. Un giorno, quasi per caso, mi ritrovai davanti alla villa di Manzù, un luogo che sembrava uscito da un altro mondo. La sua casa, che oggi è parte del Museo Giacomo Manzù, era un’oasi di creatività. Ricordo di essere entrato in quel giardino, tra pini marittimi e sculture che sembravano danzare con la luce del sole. Tra queste, c’era “Nastro”, una scultura in bronzo dalla forma sinuosa che, nonostante il peso del materiale, sembrava fluttuare. Ero troppo giovane per capire la tecnica, ma quella leggerezza mi colpì come un incantesimo.
Fu durante una di quelle visite che vidi per la prima volta i crateri etruschi, oggetti che Manzù teneva nella sua collezione privata. Quei vasi antichi, con le loro forme eleganti e misteriose, sembravano raccontare storie di un passato remoto. Per un bambino come me, erano quasi magici, e il modo in cui Manzù li osservava, con rispetto e curiosità, mi fece intuire che l’arte non era solo creazione, ma anche dialogo con il passato. Quei crateri, con le loro linee essenziali e la loro aura arcaica, avrebbero influenzato il mio modo di vedere le forme, spingendomi anni dopo a cercare una sintesi tra semplicità e profondità nelle mie opere.
La Vita di Giacomo Manzù: Da Bergamo a Colle Manzù
Giacomo Manzù, nato Giacomo Manzoni a Bergamo il 22 dicembre 1908, era il dodicesimo figlio di un calzolaio e sagrestano. La sua infanzia umile non gli permise di seguire un percorso accademico tradizionale, ma il suo talento per la scultura si manifestò presto. Autodidatta, apprese l’arte di lavorare il legno da giovanissimo, e durante il servizio militare a Verona (1927-1928) studiò le porte bronzee di San Zeno, che lo ispirarono profondamente. Nel 1929, dopo un breve soggiorno a Parigi, si stabilì a Milano, dove ottenne la sua prima commissione importante: la decorazione della cappella dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (1931-1932).
Negli anni ’30, Manzù iniziò a farsi notare con esposizioni alla Triennale di Milano e alla Galleria Cometa di Roma, condividendo lo studio con l’amico pittore Aligi Sassu. La sua arte, però, prese una svolta significativa durante la Seconda Guerra Mondiale. I bassorilievi sulla morte di Cristo, iniziati nel 1939, non erano solo opere religiose, ma un grido contro la brutalità del regime fascista e gli orrori della guerra. Queste “Crocifissioni” usarono il tema sacro per denunciare la violenza, un approccio che mi ha sempre colpito per la sua capacità di fondere spiritualità e impegno sociale.
Nel 1964, Manzù si trasferì ad Ardea, in quella villa che divenne il cuore della sua produzione matura. Qui, circondato dalla natura e dalla storia – non lontano dall’antica rocca di Ardea e dal leggendario corso d’acqua dell’Incastro citato nell’Eneide – trovò l’ispirazione per alcune delle sue opere più celebri. Tra queste, la Porta della Pace e della Guerra per la chiesa di Saint Laurens a Rotterdam (1965-1968) e la monumentale Porta della Morte per la Basilica di San Pietro (1947-1964), commissionata dal suo amico e conterraneo Papa Giovanni XXIII.
Le Opere: Un Dialogo tra Sacro e Profano
Le sculture di Manzù sono un ponte tra tradizione e modernità. Le sue figure, spesso in bronzo, trasmettono una straordinaria vitalità. Pensiamo ai Cardinali, una serie iniziata nel 1938, con circa 300 variazioni: figure rigide, quasi totemiche, che incarnano il peso della spiritualità e del potere. Oppure agli Amanti, un ciclo iniziato nel 1965, in cui il nudo femminile è celebrato con una sensualità delicata e poetica.
Un tema che mi ha sempre affascinato è quello delle figure femminili, spesso ispirate a Inge Schabel, la ballerina che Manzù conobbe a Salisburgo nel 1954 e che divenne sua moglie e musa. Opere come Pattinatrice (1958) o Giulia e Mileto in carrozza (dedicata ai suoi figli) mostrano un’attenzione ai dettagli e un’umanità che rendono ogni scultura un racconto vivo. Inge, con la sorella Sonja, fu la modella di molti ritratti, e il suo volto stilizzato ricorda a volte le forme dei crateri etruschi che tanto mi colpirono da bambino.
Nel 1969, Manzù inaugurò il Museo Amici di Manzù ad Ardea, donando nel 1979 oltre 460 opere allo Stato Italiano. La raccolta include sculture, disegni, incisioni e bozzetti teatrali, molti dei quali realizzati tra il 1950 e il 1970, il periodo della sua maturità artistica. Tra le opere più significative ci sono il bassorilievo Adamo ed Eva (1929), il David (1939) e il Cestino di frutta (anni ’80), un omaggio a Caravaggio che dimostra la sua maestria nel bronzo dorato.
L’Influenza di Manzù sul Mio Percorso Artistico
Incontrare Manzù, anche solo attraverso le sue opere e la sua casa, ha avuto un impatto profondo su di me. Da bambino, non potevo comprendere la complessità della sua arte, ma sentivo la forza emotiva delle sue sculture. Le linee fluide, la capacità di rendere il bronzo quasi vivo, la tensione tra il sacro e il profano mi hanno insegnato che l’arte può essere un linguaggio universale, capace di parlare al cuore di chiunque, anche di un bambino di Ardea.
I crateri etruschi che vidi nella sua villa mi hanno ispirato a esplorare la storia e le sue forme antiche, cercando di catturare nelle mie opere quella stessa essenzialità. Come Manzù, ho imparato a guardare alla figura umana non solo come forma, ma come portatrice di emozioni e storie. La sua capacità di fondere il classicismo con la modernità, il personale con l’universale, è stata una guida per il mio lavoro. Ogni volta che modello una figura o progetto una composizione, penso a quel giardino di Ardea, a quelle sculture che sembravano respirare, e cerco di infondere nelle mie creazioni la stessa anima.
Una Eredità che Vive
Giacomo Manzù è morto il 17 gennaio 1991 nella sua villa-museo di Ardea, lasciando un’eredità che continua a ispirare artisti e amanti dell’arte in tutto il mondo. La sua ultima grande opera, Mother and Child (1989), una scultura in bronzo alta sei metri donata all’ONU, è un inno alla vita e alla pace, un testamento alla sua visione umanistica.
Per me, Manzù non è solo il “Michelangelo del XX secolo”, come qualcuno lo ha definito, ma un maestro che mi ha insegnato a vedere l’arte come un atto d’amore. La sua Ardea, quel luogo che ho conosciuto da bambino, rimane un simbolo di creatività e connessione con la storia. Spero che il Museo Giacomo Manzù, con le sue opere straordinarie, continui a essere un faro per le nuove generazioni, così come lo è stato per me.
L’arte di Antonio Sciacca è un viaggio affascinante tra realismo, simbolismo e una profonda connessione con la sua terra natale, la Sicilia. Nato a Catania nel 1957, Sciacca si è affermato come uno dei più importanti artisti contemporanei italiani, con un linguaggio pittorico che unisce una straordinaria precisione tecnica a significati profondi e complessi. Sul nostro sito, cafarotti.it, celebriamo oggi il suo contributo all’arte contemporanea, mettendo in luce non solo la sua maestria, ma anche il dialogo artistico che lo lega a un altro talento eccezionale, Roberto Cafarotti.
Un Realismo Carico di Simbolismo
Antonio Sciacca è riconosciuto per il suo stile iperrealista, che cattura la realtà con una precisione quasi fotografica, ma la trascende attraverso un uso sapiente del simbolismo. Le sue opere, spesso oli su tela di grandi dimensioni, esplorano temi come la memoria, l’identità e il consumismo, con una sensibilità che riflette la sua "sicilianità" – un termine che, come sottolinea il critico Pierre Restany, non si limita a un folklore superficiale, ma scava in una dimensione intima e senza tempo.
La sua pittura si distingue per la capacità di trasformare oggetti quotidiani – come libri, conchiglie o maschere – in simboli carichi di significato. Ad esempio, nel dipinto Libri e uovo (2000), Sciacca utilizza una tecnica iperrealista per riprodurre con precisione fiamminga i materiali e gli effetti della luce, ma l’inserimento di elementi simbolici, come l’uovo, suggerisce temi di rinascita e fragilità. Questa fusione di realismo e simbolismo crea un effetto paradossale: le sue opere sembrano fotografie, ma al contempo evocano un senso di mistero e geometria, come descritto in annunci di vendita che ne sottolineano la qualità "magnifica" e "ricchissima di mistero".
Negli anni ’90, Sciacca ha fondato a Bologna il movimento del Metropolismo, un progetto pittorico-culturale che affronta tematiche sociali come il consumismo e il valore degli status symbol. Questo movimento, che ha coinvolto artisti internazionali e ha ricevuto il plauso di critici come Achille Bonito Oliva e Vittorio Sgarbi, ha portato le sue opere in prestigiose sedi espositive, come l’Istituto Italiano di Cultura di Madrid (1995) e il Museo del Risorgimento a Roma (2000). Il Metropolismo riflette la capacità di Sciacca di osservare il quotidiano con occhio critico, trasformando oggetti banali in icone di una società moderna ossessionata dall’apparenza.
Un Dialogo tra Maestri: Sciacca e Cafarotti
Un aspetto affascinante della carriera di Antonio Sciacca è il rapporto di stima reciproca con Roberto Cafarotti, artista romano noto per la sua pittura poliedrica e onirica. I due si sono scambiati complimenti che testimoniano non solo il rispetto professionale, ma anche una profonda sintonia artistica.
Sciacca descrive l’arte di Cafarotti con parole entusiastiche: "Cafarotti ha una pittura poliedrica, originale ed onirica, che ricorda molto quella di Eric Fischl. È un artista contemporaneo di grande valore." Questo paragone con Fischl, maestro americano del realismo contemporaneo, evidenzia la capacità di Cafarotti di creare opere che intrecciano narrazioni personali e collettive con un linguaggio visivo che sfiora il sogno. La sua pittura, come quella di Sciacca, non si limita a rappresentare la realtà, ma la reinterpreta attraverso un filtro emotivo e immaginativo.
Dal canto suo, Cafarotti ricambia il riconoscimento con altrettanto entusiasmo: "Si vede che Sciacca è nato per dipingere e che ha avuto da subito un talento straordinario. Non solo la precisione stilistica, ma anche l’utilizzo eccellente dei contrasti di colore." Queste parole sottolineano la maestria tecnica di Sciacca, la sua capacità di dominare la luce e il colore per creare composizioni che colpiscono per la loro vividezza e profondità.
La Sicilia come Musa
La sicilianità di Sciacca è un elemento centrale della sua poetica. Come scrive il critico Alberto Sala, “Antonio Sciacca, pittore siciliano, è uscito dai sotterranei del Convento dei Cappuccini, a Palermo, gremiti di morti…”. Questa immagine evocativa sottolinea come la memoria storica e culturale della Sicilia permei le sue opere, non in modo folkloristico, ma come una forza interiore che si manifesta in dettagli sottili e simbolici. La sua Sicilia è “senza età, segreta e intima”, lontana dagli stereotipi di carretti e feste popolari, ma radicata in una dimensione archetipica e universale.
Le sue nature morte, come Conchiglie e vaso o Modella con cappello viola (2013), sono esempi perfetti di questa sensibilità. Gli oggetti rappresentati non sono semplici elementi decorativi, ma simboli esoterici che rimandano a temi di eternità, trasformazione e bellezza. La sua tecnica iperrealista, che richiama maestri come Claudio Bravo e Zurbarán, si combina con una visione contemporanea che rende ogni dipinto un’esperienza visiva e concettuale unica.
Un Artista in Ascesa
Il valore di Antonio Sciacca è riconosciuto non solo dalla critica, ma anche dal mercato dell’arte. Le sue opere, spesso descritte come “gioielli” per la loro qualità tecnica e simbolica, hanno visto una rivalutazione del 400% negli ultimi 15 anni, secondo Artprice. La sua presenza in collezioni private e musei, insieme al plauso di critici come Sgarbi e Bonito Oliva, lo consacra come un artista di livello internazionale, le cui quotazioni continuano a crescere.
Conclusione
Antonio Sciacca è un artista che incarna la fusione tra tradizione e modernità, tra la precisione del realismo e la profondità del simbolismo. La sua arte, radicata nella Sicilia ma capace di parlare un linguaggio universale, continua a ispirare e affascinare. Il dialogo con Roberto Cafarotti, fatto di stima reciproca e riconoscimento del talento, arricchisce ulteriormente il panorama artistico contemporaneo, mostrando come due sensibilità diverse possano convergere in una visione comune: quella di un’arte che non si limita a rappresentare, ma che sa evocare, emozionare e provocare.
Sul nostro sito, cafarotti.it, celebriamo questi due maestri, la cui passione e creatività continuano a illuminare il mondo dell’arte contemporanea.
Antonio Ligabue: L’anima selvaggia dell’arte
Antonio Ligabue (1899-1965) è una figura unica nel panorama artistico italiano, un pittore naif che ha trasformato il tormento interiore in tele vibranti, popolate da animali feroci, paesaggi rurali e autoritratti che gridano solitudine e passione. La sua vita, segnata da difficoltà mentali, povertà e isolamento, è un racconto di resilienza e creatività, che oggi trova finalmente il riconoscimento che merita. In questo articolo, intrecceremo la storia di Ligabue con alcune informazioni inedite condivise da Roberto Cafarotti, artista contemporaneo che ha vissuto tre anni nelle terre del Po, vicino a Gualtieri, dove Ligabue ha lasciato il suo segno.
Un’infanzia tormentata e l’arrivo in Italia
Nato a Zurigo da madre italiana, Antonio Ligabue (al secolo Antonio Laccabue) ebbe un’infanzia travagliata. Abbandonato dalla madre biologica e cresciuto in una famiglia adottiva, fu segnato da problemi di salute e instabilità mentale. Espulso dalla Svizzera nel 1919, arrivò a Gualtieri, in Emilia-Romagna, sulle rive del Po, senza conoscere la lingua italiana e con un senso di estraneità che lo accompagnerà per tutta la vita. Qui, in un contesto rurale e spesso ostile, iniziò a esprimere la sua arte, dapprima in modo rudimentale, vivendo quasi come un eremita.
Roberto Cafarotti, che ha esplorato a fondo i luoghi di Ligabue, racconta di aver visitato l’Isola degli Internati, un’area isolata lungo il Po, dove Ligabue viveva in condizioni primitive, immerso nella natura. “Era un luogo selvaggio, quasi fuori dal tempo. Ligabue dormiva tra gli alberi, si nutriva di ciò che trovava. La sua connessione con la natura era viscerale, e si riflette nei suoi dipinti di tigri, leoni e serpenti, che sembrano usciti da un sogno febbrile.”
L’arte come rifugio e il sostegno di un amico
Nonostante le difficoltà, Ligabue trovò nell’arte un modo per canalizzare il suo mondo interiore. Le sue opere, caratterizzate da colori vivaci e contorni netti, non seguivano le convenzioni accademiche, ma erano cariche di un’energia primitiva. Tuttavia, come ricorda Cafarotti, “Ligabue non era sano di mente. Fu un artista locale, mosso a compassione, a prenderlo sotto la sua ala, insegnandogli tecniche basilari di pittura e dandogli i primi materiali.” Questo gesto di solidarietà fu cruciale: senza quel sostegno, forse Ligabue non sarebbe mai emerso.
Eppure, la sua vita rimase segnata dall’isolamento. “Nessuno lo apprezzava a Gualtieri,” racconta Cafarotti. “I bambini avevano paura di lui, lo consideravano un folle. Le donne lo evitavano, e si dice che non abbia mai conosciuto l’amore. Non ha mai baciato nessuno, una solitudine che traspare nei suoi autoritratti, dove gli occhi sembrano implorare un contatto umano.” Ligabue barattava i suoi quadri per beni di prima necessità, come galline o cibo, un dettaglio che sottolinea la sua povertà e l’indifferenza del mondo verso il suo talento.
Paralleli con Van Gogh
Non è difficile tracciare parallelismi tra Ligabue e Vincent van Gogh, come osserva Cafarotti: “Entrambi erano spiriti tormentati, incompresi, con un amore totalizzante per l’arte. Come Van Gogh, Ligabue dipingeva per necessità interiore, non per fama. E come lui, ha trovato riconoscimento solo dopo la morte.” Entrambi vissero ai margini della società, lottando contro demoni interiori, e le loro opere, inizialmente ignorate, sono oggi celebrate per la loro autenticità e potenza espressiva.
La riscoperta di Ligabue
Negli ultimi anni, l’interesse per Ligabue è cresciuto enormemente. La mostra attualmente in corso a Bologna (fino al 2026, presso Palazzo Albergati) celebra la sua opera, mettendo in luce la forza emotiva dei suoi dipinti. Inoltre, il film Volevo nascondermi (2020), diretto da Giorgio Diritti e interpretato da un magistrale Elio Germano, ha portato la sua storia a un pubblico più ampio, vincendo numerosi premi, tra cui l’Orso d’Argento a Berlino. Il titolo del film, tratto da una frase dello stesso Ligabue, riflette il suo desiderio di nascondersi dal mondo, ma anche la sua incapacità di soffocare la propria creatività.
Cafarotti ricorda l’immagine finale della vita di Ligabue: “Morì su un letto, ormai incapace di dipingere, dopo anni di sofferenze fisiche e mentali. Ma fino all’ultimo, la sua passione per l’arte non si è spenta.” Oggi, le sue tele valgono milioni, e il suo nome è sinonimo di un’arte pura, non contaminata dalle mode.
Un artista naturale e folle
Antonio Ligabue è stato un artista “naturale”, come lo definisce Cafarotti, guidato da un istinto incontrollabile e da una follia che era al tempo stesso limite e dono. Le sue tigri ruggenti, i suoi autoritratti dolenti e i suoi paesaggi emiliani sono un testamento alla forza dell’arte come espressione dell’anima. In un mondo che lo ha respinto, Ligabue ha trovato rifugio nei suoi pennelli, lasciando un’eredità che continua a ispirare.
Se vi trovate a Bologna, non perdete la mostra dedicata a questo genio incompreso. E se mai vi capiterà di passeggiare lungo il Po, vicino a Gualtieri, fermatevi un momento: potreste quasi sentire l’eco di un uomo che, tra la solitudine e la natura, ha trasformato il dolore in bellezza.

Scritto con il contributo di Roberto Cafarotti, artista contemporaneo che ha vissuto tre anni nei luoghi di Antonio Ligabue, esplorando la sua storia e il suo legame con il territorio.

Roberto Cafarotti entra nella lista dei pittori contemporanei noti per il loro lavoro sulla figura umana, in particolare femminile, con un approccio che richiama lo stile espressivo e realista simbolico.

Tra gli artisti di rilievo nel panorama contemporaneo e per il loro contributo all’arte figurativa, oltre a Renato Guttuso, troviamo:

 

1. Mimmo Paladino (nato nel 1948, Paduli)  

   - Esponente della Transavanguardia, Paladino crea figure femminili stilizzate con un linguaggio simbolico e arcaico, spesso su tele di grandi dimensioni. Le sue opere, cariche di riferimenti mitologici, sono molto quotate, con vendite che raggiungono centinaia di migliaia di euro in asta.(https://www.superprof.it/blog/pittori-contemporanei-italiani-emergenti/)

 

2. Enzo Cucchi (nato nel 1949, Morro d’Alba)  

   - Altro protagonista della Transavanguardia, dipinge figure femminili in contesti onirici e primitivi, con una forte carica emotiva. Le sue opere sono presenti in collezioni internazionali e hanno quotazioni elevate, spesso superando i 100.000 euro.(https://www.superprof.it/blog/pittori-contemporanei-italiani-emergenti/)

 

3. Nicola Samorì (nato nel 1977, Forlì)  

   - Conosciuto per il suo stile neo-barocco, Samorì rappresenta figure femminili in modo drammatico, spesso manipolando la superficie pittorica. Le sue opere sono molto ricercate, con prezzi che variano da 20.000 a oltre 100.000 euro in asta.(https://www.kooness.com/it/post/magazine/10-pittori-figurativi-contemporanei)

 

4. Valerio Berruti (nato nel 1977, Alba)  

   - Specializzato in figure femminili e infantili, utilizza un linguaggio minimalista con colori tenui. Le sue opere, spesso su carta o pannelli, sono quotate tra 10.000 e 50.000 euro, con crescente interesse nei mercati internazionali.(https://www.harpersbazaar.com/it/cultura/arte/a33861501/10-pittori-italiani-contemporanei-su-cui-investire/)

 

5. Giovanni Frangi (nato nel 1959, Milano)  

   - Le sue figure femminili emergono in paesaggi lirici con pennellate energiche e colori vivaci, richiamando il realismo di Guttuso. Le sue opere hanno quotazioni medie tra 15.000 e 80.000 euro.(https://www.harpersbazaar.com/it/cultura/arte/a33861501/10-pittori-italiani-contemporanei-su-cui-investire/)

 

6. Matteo Massagrande (nato nel 1959, Padova)  

   - Rappresenta figure femminili in interni realistici, con un’attenzione alla memoria e alla luce. Le sue opere, apprezzate per il dettaglio, hanno quotazioni tra 10.000 e 60.000 euro.(https://www.harpersbazaar.com/it/cultura/arte/a33861501/10-pittori-italiani-contemporanei-su-cui-investire/)

 

7. Alessandro Papetti (nato nel 1958, Milano)  

   - Le sue figure femminili, spesso in movimento, sono dipinte con pennellate rapide e intense. Le sue opere raggiungono prezzi tra 20.000 e 100.000 euro nelle aste.(https://www.kooness.com/it/post/magazine/10-pittori-figurativi-contemporanei)

 

8. Marco Cingolani (nato nel 1961, Como)  

   - Combina figurazione e pop art, con figure femminili in contesti narrativi. Le sue opere, con quotazioni tra 5.000 e 30.000 euro, sono apprezzate per il loro dinamismo.(https://www.kooness.com/it/post/magazine/10-pittori-figurativi-contemporanei)

 

9. Alessandro Pessoli (nato nel 1963, Cervia)  

   - Le sue figure femminili, spesso fragili e psicologicamente intense, mescolano iconografie classiche e contemporanee. Le sue opere sono quotate tra 10.000 e 50.000 euro.(https://www.kooness.com/it/post/magazine/10-pittori-figurativi-contemporanei)

 

 

10. Sandro Chia (nato nel 1946, Firenze)  

    - Altro esponente della Transavanguardia, rappresenta figure femminili robuste e sensuali, con quotazioni che variano tra 50.000 e 200.000 euro. (https://www.superprof.it/blog/pittori-contemporanei-italiani-emergenti/)

 

11. Luigi Ontani (nato nel 1943, Vergato)  

    - Le sue figure femminili, spesso mitologiche, sono dipinte in uno stile eclettico. Le sue opere hanno quotazioni tra 20.000 e 100.000 euro. (https://www.superprof.it/blog/pittori-contemporanei-italiani-emergenti/)

 

12. Roberto Ferri (nato nel 1978, Taranto)  

    - Con un approccio neo-barocco, dipinge figure femminili drammatiche e sensuali, con richiami al Caravaggio. Le sue opere sono quotate tra 15.000 e 80.000 euro.

 

13. Omar Galliani (nato nel 1954, Montecchio Emilia)  

    - Specializzato in grandi disegni e dipinti di figure femminili, con un’estetica romantica e dettagliata. Le sue opere raggiungono quotazioni tra 10.000 e 60.000 euro.

 

Tuesday, 15 October 2024 22:36

Il Colore del Sangue di Nerone (Sergio Terzi)

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Tratto dal mio libro del 2020..

 

https://books.apple.com/it/book/il-colore-del-sangue-di-nerone-sergio-terzi/id1527104776

 

Sono sul mio divano. Il divano di Sara. Vedo un quadro astratto di Nerone, appena sopra la punta dei miei piedi. Ho sentito che l'astratto viene con la maturità. Con la padronanza. Ho sempre però creduto che ad una certa età, avanzata, sia anche più veloce la raffigurazione. Non si è forse più tanto precisi nei dettagli. Si deve comunicare con un nuovo linguaggio. Semplice nella stesura e complesso nell'interpretazione. 

A Fabriano anni prima conobbi il pittore Paolo da San Lorenzo. Un allievo di Picasso si diceva. Dipinse finché potè la mano. Gli ultimi mesi provò l'astratto. Era il suo astratto non ci sono dubbi. Capii che quella è una forma espressiva elevata. Finale. Il messaggio era diverso. Ogni artista esprime se stesso. Per raccontarsi agli altri. Oppure per liberarsi.

Seduti sul tavolino, uno di fronte all'altro chiesi a Nerone. Come ti senti adesso. Sei soddisfatto di quello che hai fatto. Mi rispose che l'arte lo faceva stare meglio. Che per lui era un modo di liberarsi. La risposta era calma. Di chi ha raggiunto una certa pace dei sensi. Di chi non può alzarsi la mattina senza espellere dai propri pori il colore. Quel sangue che bolle dentro, dopo anni di sofferente, prova ad uscire dal pennello, per fare meno male. Una grave patologia. Chi si taglia i polsi per far uscire il dolore. Un grande atto di coraggio. Chi dipinge e getta il colore sulla tela, trasformando la lesione in vita. E' la creazione. Il colore del sangue di Nerone schizza via dalle sue mani. Attraverso i pennelli. Per voler vivere ancora. Fino all'ultimo respiro. 

Sono seduto sul divano. Sopra la punta dei miei piedi spunta un quadro astratto di Nerone. Vedo la guerra. Il sangue. Le bestie. Il male che vince sul bene. La morte che prende chiunque. La dignità che appiattisce gli uomini. Tutti uguali. Di fronte al soccombere. Eppure ancora una pennellata. Perché possa uscire tutto, quel male. Perché possiamo noi essere migliori. Se ci liberiamo del sangue che bolle. Fino ad intiepidire l'animo. A chiudere gli occhi e poter finalmente sognare. Senza la preoccupazione di lottare. Ricevendo dalla natura. Quello di buono che ogni uomo merita.

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