Sul mio sito, cafarotti.it, desidero raccontare un artista che incarna l’essenza della libertà creativa, un “cattivo pittore” nel senso più nobile del termine: Daniele Masini. La sua pittura, visionaria e ostinatamente fedele alla tradizione, si staglia come un atto di resistenza in un’epoca che sembra aver dimenticato il profumo della trementina e il peso di un pennello. Grazie a un’intervista concessa da Masini al critico d'arte Janus, ho potuto esplorare il suo mondo, un universo di selve oscure e verità scomode, lontano dal conformismo del “paradiso” artistico tanto caro ai “buoni pittori”.
Un “Cattivo Pittore” per Scelta
Masini si definisce senza esitazione un “pessimo pittore”. Non è falsa modestia, ma una dichiarazione d’intenti. Rifiuta il paradiso, che per lui è un luogo “precostituito e falso, conforme alle regole, senza scatti, piuttosto monotono”. L’inferno, invece, lo affascina: è il territorio dei “cattivi pittori”, quelli che si perdono nei sentieri sconosciuti, mossi dalla curiosità e non dalla brama di successo. “Il successo non è mai stato un mio obiettivo”, afferma con una schiettezza disarmante. Per lui, l’arte non è un prodotto da confezionare per il plauso del pubblico, ma un viaggio personale, intimo, fatto di fatica e solitudine.
Il critico Janus, con il suo celebre scritto I buoni pittori vanno in paradiso, ha collocato Masini tra i “cattivi pittori”, non per mancanza di talento, ma per la sua ostinata indipendenza. Janus vede in questi artisti una ribellione al sistema dell’arte, un rifiuto di piegarsi alle logiche del mercato e della moda. Masini incarna questa ribellione: le sue mostre sono rare, molte opere rimangono nascoste, mai esposte, come tesori custoditi in una pinacoteca intima. “L’ambizione fa molto male all’arte”, dice, e in questa frase c’è il manifesto di un artista che preferisce perdersi rather than seguire i cartelli indicatori del successo.
La Pittura come Scandalo
In un mondo artistico che celebra l’effimero, l’installazione e il concettuale, Masini commette un peccato imperdonabile: dipinge. La pittura, per lui, non è un’attività desueta, ma un “mondo infinito”, un linguaggio alchemico che richiede anni di studio, disciplina e dedizione. “Ho preso il pennello in mano a sei anni e ancora lo tengo saldamente”, racconta. La sua fedeltà alla pittura, in un’epoca che la considera quasi “abnorme”, è un atto di coerenza che sfida le avanguardie contemporanee, spesso prive di sostanza. “Le avanguardie? Cosa sono?”, si chiede ironicamente, liquidando il conformismo di chi ricicla vecchie idee per un pubblico che “naviga a vista”.
Masini non dipinge per compiacere. Le sue tele sono specchi della sua anima, riflessi di una Romagna che ama e critica. La sua pittura, fantastica e onirica, si nutre delle contraddizioni della sua terra, dalle pinacoteche di provincia ai silenzi di una cultura che si sta impoverendo. Come scriveva il poeta Andrea Brigliadori nel 1988, per Masini la provincia è “un idolo polemico, un fantasma negativo” contro cui scaglia “violenze pittoriche di congelata durezza”. Le sue opere non sono eccentriche, come qualcuno potrebbe pensare, ma profondamente realistiche: raccontano il dolore, le invidie, la chiusura di una società che spesso nasconde i suoi figli migliori.
Visioni di un Altro Tempo
Masini si definisce “uomo di un altro tempo”, e la sua pittura lo conferma. Le sue tele nascono da visioni che si intrecciano con la realtà, da sogni che si trasformano in memoria. “Prima di addormentarmi dipingo con il pensiero immense tele”, racconta. Non segue schemi predefiniti: ogni opera è un viaggio unico, guidato dalla tela stessa, che gli suggerisce come proseguire. La sua tecnica varia, i colori si riducono a pochi toni scelti con cura, in un dialogo costante tra immaginazione e gesto pittorico.
Questa pittura visionaria si scontra con un mondo prosaico, incapace di sognare. Eppure, Masini non cerca di compiacere l’osservatore. “La comprensione delle opere non mi ha mai preoccupato”, dice. La sua arte è un atto di libertà, un rifiuto della banalità che permea il sistema artistico, fatto di curatori che inseguono l’audience, critici che si credono artisti e “buoni pittori” che riciclano incessantemente le stesse idee.
La Morte come Compagna
Un aspetto affascinante del lavoro di Masini è il suo rapporto con la morte, un tema che attraversa la sua pittura fin dalle prime tele monocromatiche degli anni ’70, dedicate a cripte e resti organici. “Ho passato giornate intere in compagnia di Santi e Vescovi”, racconta, riferendosi alle sue visite nelle chiese di Forlì. La morte, per lui, non è un incubo, ma un “divenire necessario”, una presenza che si manifesta nelle forme consunte e nei colori ossidati delle sue opere. La sua pittura trasforma i reperti in storia, dando vita a una realtà immaginata che diventa concreta sulla tela.
Un Ribelle Sereno
Nonostante il suo spirito combattivo – “ho sangue romagnolo, frizzante e reattivo” – Masini ha trovato una serenità nuova, grazie alla compagna Chiara, che gli ha donato stabilità emotiva. La sua armatura, che lo protegge dai “portaborse ossequiosi” e dai “venditori di fumo” del mondo dell’arte, si scioglie solo davanti a persone autentiche. La sua pittura, però, rimane un autoritratto: ogni opera riflette una parte di lui, fisica e intellettuale, un’espressione della sua essenza che non si piega alle lusinghe del paradiso artistico.
Una Vita per la Pittura
Masini ha dedicato la sua vita alla pittura, sacrificando l’ozio per accumulare un corpus impressionante: 600 tele, 3000 carte dipinte a olio, 4000 disegni. “Sono il più grande collezionista di Masini”, scherza, ma dietro l’ironia c’è la consapevolezza di un lavoro incessante, nutrito dalla lettura, dagli incontri, dalla memoria. Anche quando non dipinge fisicamente, la sua mente continua a creare, costruendo tele immaginarie che nessuno vedrà mai.
Contro la Banalità del Sistema
La pittura di Masini è un atto di ribellione contro la banalità, contro un sistema artistico che premia la prevedibilità e l’omologazione. Non imita, non segue mode, non si piega alle aspettative. “In pittura non si arriva mai”, dice, e questa umiltà lo rende un vero “cattivo pittore”, nel senso che Janus intende: un artista che non cerca il paradiso del successo, ma si avventura nelle selve oscure della propria immaginazione, accettando il rischio di perdersi.
Daniele Masini è un monito per tutti noi: in un mondo che celebra i “buoni pittori” e le loro ambizioni programmate, c’è ancora spazio per chi, come lui, sceglie l’inferno della libertà creativa. La sua pittura, viva e scandalosa, ci ricorda che l’arte non è fatta per compiacere, ma per scuotere, interrogare, e lasciare tracce di un’anima che non si arrende.