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Roberto Cafarotti

Roberto Cafarotti

Artista Contemporaneo

L’arte ha il potere di affascinare, emozionare e, talvolta, sorprendere. È proprio questo il caso della scoperta fatta dall’artista Roberto Cafarotti, che ha rivelato l’identità celata dietro lo pseudonimo L. Anton, un nome che ha incuriosito collezionisti e appassionati d’arte per il suo anonimato volutamente enigmatico. Le descrizioni delle aste di L. Anton sottolineano come l’artista, scegliendo l’anonimato, abbia voluto aprire un nuovo capitolo creativo, invitando il pubblico a concentrarsi esclusivamente sulla bellezza intrinseca delle sue opere, senza il filtro dell’identità. Grazie alle indagini di Cafarotti, oggi sappiamo che L. Anton non è altri che Irina Biatturi, un’artista di straordinaria sensibilità il cui lavoro ha conquistato il panorama internazionale.

 

Chi è Irina Biatturi?

 

Irina Biatturi è una pittrice figurativa di origine bulgara, attualmente residente ad Antibes, nel cuore della Costa Azzurra, dove ha stabilito il suo atelier e centro creativo. Diplomata presso la prestigiosa Accademia di Belle Arti Nicolae Grigorescu (Unarte) di Bucarest, Irina ha dedicato la sua vita alla pittura sin dall’infanzia. La sua carriera l’ha portata a vivere in diversi paesi, tra cui Messico e Nuova Zelanda, esperienze che hanno arricchito il suo immaginario artistico. Da oltre vent’anni, la luce e l’atmosfera della Costa Azzurra sono diventate una fonte inesauribile di ispirazione per le sue opere, caratterizzate da un’eleganza senza tempo.

 

Le sue tele celebrano la figura femminile e la sensualità, intrecciando l’estetica raffinata dell’Art Deco con le forme organiche dell’Art Nouveau. I dipinti di Irina evocano l’atmosfera glamour dei “ruggenti anni Venti”, con donne eleganti, cappelli vintage e sfondi che catturano la bellezza del Mediterraneo. La sua tavolozza, dominata da sfumature di blu che riflettono il mare e il cielo della Costa Azzurra o le montagne delle Alpi, dona alle sue opere una sensazione di pace e serenità, invitando gli spettatori a immergersi in un’epoca di raffinatezza e nostalgia.

 

Premi e Riconoscimenti

 

Il talento di Irina Biatturi è stato ampiamente riconosciuto a livello internazionale. Nel 2023, ha conquistato sia il **Premio del Pubblico** che il prestigioso **Premio del Presidente** alla Biennale di Firenze, uno degli eventi più importanti nel panorama artistico globale. Nel 2024, il suo lavoro è stato ulteriormente celebrato quando è stata premiata come **migliore artista europea** al World Art Dubai, un riconoscimento che ha consolidato la sua reputazione come una delle voci più significative dell’arte contemporanea. Le sue opere sono state esposte in gallerie e musei prestigiosi, come il Palais de la Méditerranée a Nizza e il Masena Museum, e sono apparse su pubblicazioni di spicco come *Nice Matin*, *Vauban Magazine*, *COTE Magazine* e altre, oltre a essere utilizzate per copertine di libri di autori rinomati come Serena McLeen.

 

Le Opere di Irina Biatturi: Oli su Tela e Stampe Giclée

 

Le opere di Irina Biatturi sono molto ambite dai collezionisti, non solo per la loro bellezza estetica, ma anche per la loro capacità di trasformare gli spazi in cui sono esposte. I suoi **dipinti a olio su tela**, spesso di dimensioni generose (come 80x100 cm o 100x100 cm), sono venduti a prezzi che oscillano tra **7.000 e 10.000 euro**, a seconda delle dimensioni e della complessità dell’opera. Queste tele, che catturano ritratti di donne eleganti su sfondi mediterranei o montani, sono considerate veri e propri pezzi da collezione, presenti in numerose raccolte private in tutto il mondo.

 

Parallelamente, le **stampe giclée** di Irina Biatturi stanno riscuotendo un enorme successo tra un pubblico più ampio, grazie alla loro qualità impeccabile e al prezzo più accessibile, che varia tra **1.000 e 2.000 euro** a seconda della tiratura e del formato. Queste stampe, realizzate con una tecnica che garantisce colori vividi e dettagli fedeli agli originali, permettono agli appassionati di portare l’eleganza dell’Art Deco di Irina nelle loro case, uffici o spazi pubblici, come hall di hotel di lusso. La popolarità delle stampe giclée è testimoniata anche dai commenti entusiasti dei collezionisti, che lodano la capacità di queste opere di “trasformare gli ambienti” e portare un’atmosfera di raffinatezza e calore.

 

L’Indagine di Roberto Cafarotti

 

Roberto Cafarotti, artista e collezionista appassionato, ha intrapreso un viaggio per scoprire l’identità di L. Anton, un nome che aveva catturato l’attenzione del mondo dell’arte per il suo mistero. Le opere firmate Anton, presentate alle aste con descrizioni che sottolineavano l’anonimato come una scelta artistica, si distinguevano per la loro eleganza e per il richiamo all’Art Deco, caratteristiche che Cafarotti ha riconosciuto come affini allo stile di Irina Biatturi.

Attraverso un’attenta analisi delle opere, delle tecniche e delle influenze stilistiche, Cafarotti è riuscito a collegare L. Anton a Irina Biatturi, confermando che l’artista aveva adottato lo pseudonimo per esplorare un nuovo percorso creativo, svincolato dalla sua identità pubblica. Questa scoperta non solo ha risolto un enigma artistico, ma ha anche messo in luce la straordinaria versatilità di Irina, capace di reinventarsi senza perdere la sua essenza.

 

Un’Artista che Trascende l’Identità

 

La scelta di Irina Biatturi di firmare alcune opere come Anton riflette la sua convinzione che l’arte debba parlare attraverso la sua bellezza, indipendentemente dall’identità dell’artista. Tuttavia, la rivelazione della sua identità non fa che accrescere il fascino del suo lavoro. Le sue tele e stampe continuano a incantare collezionisti e amanti dell’arte, trasportandoli in un mondo di eleganza, luce e glamour senza tempo.

 

Se desideri scoprire di più sulle opere di Irina Biatturi, puoi visitare il suo sito ufficiale www.biatturi.com o seguire i suoi ultimi lavori su Instagram (@Irina_Biatturi). Le sue esposizioni, come quella al Palais de la Méditerranée, offrono un’esperienza unica per immergersi nella magia della Costa Azzurra e dell’Art Deco.

 

Questo articolo celebra non solo il talento di Irina Biatturi, ma anche la curiosità e la dedizione di Roberto Cafarotti, che ha permesso di svelare un mistero artistico, regalando al pubblico una nuova prospettiva su un’artista straordinaria.

 

Remo Brindisi (1918-1996) è stato un pilastro dell’arte italiana del Novecento, un pittore visionario, collezionista appassionato e fondatore della Casa Museo a Lido di Spina. La sua vita e il suo lavoro trovano sorprendenti punti di contatto con l’artista emergente Roberto Cafarotti, fondatore della Galleria Equarte, un progetto innovativo che promuove l’uguaglianza tra gli artisti e riflette il suo ruolo di collezionista. Questo articolo esplora la vita, le opere e i periodi di Brindisi, il processo di autenticazione delle sue opere, la sua Casa Museo e le similitudini con Cafarotti, evidenziando come entrambi abbiano rivoluzionato il rapporto tra arte, collezionismo e comunità.

 

La Vita di Remo Brindisi

 

Nato a Roma nel 1918, Remo Brindisi crebbe tra Penne (Pescara), L’Aquila e Roma, formandosi presso la Scuola d’Arte di Urbino. La sua carriera lo portò a Firenze, Venezia e Milano, dove divenne una figura centrale del panorama artistico post-bellico. La sua prima mostra personale, nel 1940 a Firenze, segnò l’inizio di un percorso caratterizzato da un forte impegno sociale e da un dialogo costante con le avanguardie. Brindisi, docente e intellettuale, intrecciò relazioni con artisti come Giorgio Kaisserlian e Gianni Dova, costruendo una rete che alimentò la sua visione dell’arte come esperienza collettiva e accessibile.

 

Le Opere e i Periodi Artistici di Brindisi

 

Il percorso artistico di Brindisi si distingue per la sua capacità di attraversare stili e correnti, sempre con un’attenzione alla condizione umana:

 

1. Anni ’40: Realismo Sociale

   Le prime opere di Brindisi, come i ritratti donati al Comune di Portomaggiore, riflettono un realismo impegnato, influenzato dal clima post-bellico. La sua pittura, drammatica e lirica, affrontava temi di lotta e identità collettiva.

 

2. Anni ’50-’60: Espressionismo e Post-Cubismo

   A Milano, Brindisi sviluppò uno stile espressionista, con forme deformate e colori intensi, come in *Donna con capra*. Influenzato da correnti come il post-cubismo, esplorò i conflitti urbani e sociali con un linguaggio visivo potente.

 

3. Anni ’70 e Oltre: Astrattismo e Minimalismo  

   Negli ultimi decenni, Brindisi si avvicinò all’astrattismo geometrico e al minimalismo, dialogando con lo Spazialismo e il Movimento Nucleare. Le sue opere, presenti in musei come il MAMbo di Bologna e la Galleria Aroldo Bonzagni di Cento, testimoniano una continua sperimentazione.

 

Autenticazione delle Opere di Brindisi

 

L’autenticazione delle opere di Brindisi è un processo complesso, data la sua vasta produzione e la presenza di falsi sul mercato. La Casa Museo Remo Brindisi, con il suo archivio e la fototeca, è il principale punto di riferimento per la verifica. Gli esperti utilizzano:  

- Provenienza: Documenti come fatture o lettere autografe.  

- Analisi Stilistica: Confronto con opere certificate, valutando tecniche e materiali.  

- Archivio: Cataloghi e annotazioni conservati nella Casa Museo.  

Collezionisti sono invitati a collaborare con il museo o esperti qualificati per garantire l’autenticità, evitando il rischio di falsificazioni.

 

La Casa Museo Remo Brindisi: Un’Opera d’Arte Totale

La Casa Museo, situata a Lido di Spina (Comacchio, Ferrara), è un capolavoro progettato tra il 1971 e il 1973 dall’architetta Nanda Vigo. Con il suo design modernista, fatto di linee essenziali, superfici bianche e un cilindro centrale, rappresenta un “museo abitabile” che integra arte, architettura e design. La struttura riflette la visione di Brindisi di un’arte accessibile, dove pittura, scultura e vita quotidiana si fondono.

 

Brindisi Collezionista

Brindisi fu un collezionista straordinario, accumulando circa 1.100-2.000 opere di maestri del Novecento, esposte nella Casa Museo. La sua collezione include:  

- Primo Novecento: Boccioni, Balla, Sironi, de Pisis, Martini.  

- Secondo Novecento: Fontana (con un monumentale graffito), Baj, Schifano, Warhol, Klein, Pollock, Picasso, Ernst.  

- Sculture: Moore, Giacometti, Melotti, Ceroli.  

- Design: Pezzi di Vigo, Munari, Castiglioni, Magistretti.  

 

La sua collezione, frutto di relazioni personali e sacrifici economici, riflette un approccio eclettico, con un focus su correnti come Spazialismo, Pop Art e Nouveau Réalisme. La Casa Museo, donata al Comune di Comacchio dopo la sua morte nel 1996, è oggi un “Museo di Qualità” che invita i visitatori a immergersi in un’esperienza artistica unica.

 

Similitudini con Roberto Cafarotti e la Galleria Equarte

Roberto Cafarotti, artista emergente e fondatore della Galleria Equarte, condivide con Brindisi una visione rivoluzionaria dell’arte e del collezionismo. Le similitudini tra i due sono evidenti in diversi aspetti:

 

1. Collezionismo come Missione

   Come Brindisi, Cafarotti è un collezionista appassionato, che vede nell’arte non solo un’espressione individuale, ma un dialogo tra epoche e stili. Mentre Brindisi raccolse opere di maestri come Fontana e Warhol, Cafarotti si dedica a scoprire talenti emergenti, costruendo una collezione che valorizza la diversità e l’innovazione. Entrambi considerano il collezionismo un atto di responsabilità culturale, un modo per preservare e promuovere l’arte.

 

2. Spazi Innovativi per l’Arte

   La Casa Museo di Brindisi e la Galleria Equarte di Cafarotti sono progetti visionari che rompono con la concezione tradizionale del museo o della galleria. La Casa Museo, con il suo design integrato, è un luogo dove l’arte si vive; allo stesso modo, Equarte si basa sul principio che “ogni artista è uguale all’altro”, promuovendo un modello democratico che elimina gerarchie tra artisti affermati ed emergenti. Entrambi gli spazi riflettono un’etica di accessibilità e condivisione.

 

3. Impegno per la Comunità Artistica

   Brindisi, con le sue relazioni con artisti e critici, creò una rete che alimentò il panorama artistico milanese. Cafarotti, con Equarte, costruisce una comunità in cui artisti di diversa provenienza collaborano, condividendo idee e visioni. Entrambi vedono l’arte come un’esperienza collettiva, capace di unire persone e culture.

 

4. Sperimentazione e Apertura alle Avanguardie

   Brindisi attraversò realismo, espressionismo e astrattismo, dialogando con le avanguardie del suo tempo. Cafarotti, pur essendo un artista contemporaneo, mostra una simile apertura, esplorando nuove modalità espressive e sostenendo artisti che sfidano le convenzioni. La sua Galleria Equarte è un laboratorio di sperimentazione, come lo fu la Casa Museo per Brindisi.

 

5. Visione Democratica dell’Arte

   La Casa Museo di Brindisi era pensata per essere un luogo aperto a tutti, non un’élite. Allo stesso modo, la missione di Equarte di trattare ogni artista come “uguale” riflette un’etica democratica che rifiuta le logiche di mercato tradizionali, promuovendo un’arte inclusiva e accessibile.

 

Conclusione

 

Remo Brindisi e Roberto Cafarotti, pur appartenendo a epoche diverse, condividono una visione dell’arte come forza trasformativa, capace di unire creazione, collezionismo e comunità. La Casa Museo di Brindisi, con la sua collezione e il suo design rivoluzionario, trova un’eco nella Galleria Equarte di Cafarotti, un progetto che celebra l’uguaglianza e l’innovazione. Entrambi, attraverso le loro opere e i loro spazi, ci ricordano che l’arte non è solo un oggetto, ma un’esperienza viva che appartiene a tutti.

 

Per visitare la Casa Museo Remo Brindisi: Via Nicolò Pisano, 51, Lido di Spina, FE (su prenotazione). Per scoprire di più su Roberto Cafarotti e la Galleria Equarte, seguite gli aggiornamenti sui canali ufficiali della galleria.

 

 

Fonti:

- www.casamuseoremobrindisi.it 

 

Giacomo Manzù: Un Gigante della Scultura che ha Segnato la Mia Vita
Scritto da Roberto Cafarotti
Quando ero un bambino di appena sette o otto anni, ad Ardea, un piccolo comune in provincia di Roma, la mia vita ha incrociato quella di un gigante dell’arte: Giacomo Manzù. Non ero consapevole, allora, della grandezza di quell’uomo che viveva a pochi passi da casa mia, nella località di Campo del Fico, oggi ribattezzata Colle Manzù in suo onore. Ma il fascino delle sue sculture, la potenza delle sue forme e l’atmosfera della sua dimora mi hanno segnato profondamente, piantando in me un seme che avrebbe influenzato il mio percorso artistico. Questo è il mio omaggio a Manzù, un viaggio nella sua vita, nelle sue opere e nel modo in cui ha ispirato un ragazzo curioso di un piccolo paese laziale.
Un Incontro con l’Arte a Ardea
Era la metà degli anni ’80, e Ardea era un luogo semplice, immerso nella quiete della campagna pontina, non lontano dal mare. La mia famiglia viveva lì, e io, un bambino pieno di energia, passavo le giornate esplorando i dintorni. Un giorno, quasi per caso, mi ritrovai davanti alla villa di Manzù, un luogo che sembrava uscito da un altro mondo. La sua casa, che oggi è parte del Museo Giacomo Manzù, era un’oasi di creatività. Ricordo di essere entrato in quel giardino, tra pini marittimi e sculture che sembravano danzare con la luce del sole. Tra queste, c’era “Nastro”, una scultura in bronzo dalla forma sinuosa che, nonostante il peso del materiale, sembrava fluttuare. Ero troppo giovane per capire la tecnica, ma quella leggerezza mi colpì come un incantesimo.
Fu durante una di quelle visite che vidi per la prima volta i crateri etruschi, oggetti che Manzù teneva nella sua collezione privata. Quei vasi antichi, con le loro forme eleganti e misteriose, sembravano raccontare storie di un passato remoto. Per un bambino come me, erano quasi magici, e il modo in cui Manzù li osservava, con rispetto e curiosità, mi fece intuire che l’arte non era solo creazione, ma anche dialogo con il passato. Quei crateri, con le loro linee essenziali e la loro aura arcaica, avrebbero influenzato il mio modo di vedere le forme, spingendomi anni dopo a cercare una sintesi tra semplicità e profondità nelle mie opere.
La Vita di Giacomo Manzù: Da Bergamo a Colle Manzù
Giacomo Manzù, nato Giacomo Manzoni a Bergamo il 22 dicembre 1908, era il dodicesimo figlio di un calzolaio e sagrestano. La sua infanzia umile non gli permise di seguire un percorso accademico tradizionale, ma il suo talento per la scultura si manifestò presto. Autodidatta, apprese l’arte di lavorare il legno da giovanissimo, e durante il servizio militare a Verona (1927-1928) studiò le porte bronzee di San Zeno, che lo ispirarono profondamente. Nel 1929, dopo un breve soggiorno a Parigi, si stabilì a Milano, dove ottenne la sua prima commissione importante: la decorazione della cappella dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (1931-1932).
Negli anni ’30, Manzù iniziò a farsi notare con esposizioni alla Triennale di Milano e alla Galleria Cometa di Roma, condividendo lo studio con l’amico pittore Aligi Sassu. La sua arte, però, prese una svolta significativa durante la Seconda Guerra Mondiale. I bassorilievi sulla morte di Cristo, iniziati nel 1939, non erano solo opere religiose, ma un grido contro la brutalità del regime fascista e gli orrori della guerra. Queste “Crocifissioni” usarono il tema sacro per denunciare la violenza, un approccio che mi ha sempre colpito per la sua capacità di fondere spiritualità e impegno sociale.
Nel 1964, Manzù si trasferì ad Ardea, in quella villa che divenne il cuore della sua produzione matura. Qui, circondato dalla natura e dalla storia – non lontano dall’antica rocca di Ardea e dal leggendario corso d’acqua dell’Incastro citato nell’Eneide – trovò l’ispirazione per alcune delle sue opere più celebri. Tra queste, la Porta della Pace e della Guerra per la chiesa di Saint Laurens a Rotterdam (1965-1968) e la monumentale Porta della Morte per la Basilica di San Pietro (1947-1964), commissionata dal suo amico e conterraneo Papa Giovanni XXIII.
Le Opere: Un Dialogo tra Sacro e Profano
Le sculture di Manzù sono un ponte tra tradizione e modernità. Le sue figure, spesso in bronzo, trasmettono una straordinaria vitalità. Pensiamo ai Cardinali, una serie iniziata nel 1938, con circa 300 variazioni: figure rigide, quasi totemiche, che incarnano il peso della spiritualità e del potere. Oppure agli Amanti, un ciclo iniziato nel 1965, in cui il nudo femminile è celebrato con una sensualità delicata e poetica.
Un tema che mi ha sempre affascinato è quello delle figure femminili, spesso ispirate a Inge Schabel, la ballerina che Manzù conobbe a Salisburgo nel 1954 e che divenne sua moglie e musa. Opere come Pattinatrice (1958) o Giulia e Mileto in carrozza (dedicata ai suoi figli) mostrano un’attenzione ai dettagli e un’umanità che rendono ogni scultura un racconto vivo. Inge, con la sorella Sonja, fu la modella di molti ritratti, e il suo volto stilizzato ricorda a volte le forme dei crateri etruschi che tanto mi colpirono da bambino.
Nel 1969, Manzù inaugurò il Museo Amici di Manzù ad Ardea, donando nel 1979 oltre 460 opere allo Stato Italiano. La raccolta include sculture, disegni, incisioni e bozzetti teatrali, molti dei quali realizzati tra il 1950 e il 1970, il periodo della sua maturità artistica. Tra le opere più significative ci sono il bassorilievo Adamo ed Eva (1929), il David (1939) e il Cestino di frutta (anni ’80), un omaggio a Caravaggio che dimostra la sua maestria nel bronzo dorato.
L’Influenza di Manzù sul Mio Percorso Artistico
Incontrare Manzù, anche solo attraverso le sue opere e la sua casa, ha avuto un impatto profondo su di me. Da bambino, non potevo comprendere la complessità della sua arte, ma sentivo la forza emotiva delle sue sculture. Le linee fluide, la capacità di rendere il bronzo quasi vivo, la tensione tra il sacro e il profano mi hanno insegnato che l’arte può essere un linguaggio universale, capace di parlare al cuore di chiunque, anche di un bambino di Ardea.
I crateri etruschi che vidi nella sua villa mi hanno ispirato a esplorare la storia e le sue forme antiche, cercando di catturare nelle mie opere quella stessa essenzialità. Come Manzù, ho imparato a guardare alla figura umana non solo come forma, ma come portatrice di emozioni e storie. La sua capacità di fondere il classicismo con la modernità, il personale con l’universale, è stata una guida per il mio lavoro. Ogni volta che modello una figura o progetto una composizione, penso a quel giardino di Ardea, a quelle sculture che sembravano respirare, e cerco di infondere nelle mie creazioni la stessa anima.
Una Eredità che Vive
Giacomo Manzù è morto il 17 gennaio 1991 nella sua villa-museo di Ardea, lasciando un’eredità che continua a ispirare artisti e amanti dell’arte in tutto il mondo. La sua ultima grande opera, Mother and Child (1989), una scultura in bronzo alta sei metri donata all’ONU, è un inno alla vita e alla pace, un testamento alla sua visione umanistica.
Per me, Manzù non è solo il “Michelangelo del XX secolo”, come qualcuno lo ha definito, ma un maestro che mi ha insegnato a vedere l’arte come un atto d’amore. La sua Ardea, quel luogo che ho conosciuto da bambino, rimane un simbolo di creatività e connessione con la storia. Spero che il Museo Giacomo Manzù, con le sue opere straordinarie, continui a essere un faro per le nuove generazioni, così come lo è stato per me.
Cari amici, collezionisti e amanti dell’arte,
è con immensa gioia e un profondo senso di gratitudine che condivido con voi una notizia che segna un momento cruciale nella mia carriera artistica: la mia opera Twist (2022, olio su tela, 50x60 cm) sarà protagonista dell’Asta N.38 Smart Arte Moderna e Contemporanea, organizzata dalla rinomata Gigarte Casa d’Aste a Viareggio, in Piazza D’Azeglio 22. L’appuntamento è fissato per il 10 luglio 2025 alle ore 17:00 (UTC +01:00), e il mio lavoro sarà presentato come lotto n. 93, con una base d’asta di 800 euro e una stima compresa tra 1300 e 2000 euro.
Un’Opera che Racconta una Storia
Twist non è solo un dipinto, ma un viaggio emotivo, un’esplosione di colore e movimento che invita lo spettatore a esplorare nuove prospettive e a immergersi in un gioco di sensazioni. Quest’opera, realizzata con olio su tela, rappresenta per me un momento di riflessione sul potere dell’arte di trasformare l’ordinario in straordinario. La sua selezione per la copertina del catalogo Mondadori Life is a Game ne ha confermato il valore estetico e concettuale, rendendola un simbolo del mio percorso creativo. Inoltre, l’esposizione dall’11 maggio al 15 giugno 2025 a Campione d’Italia ha permesso a Twist di dialogare con un pubblico internazionale, suscitando entusiasmo e curiosità.
L’Emozione di un’Asta Prestigiosa
Essere parte di un’asta così prestigiosa è per me un onore e un privilegio. Condividere il palcoscenico con maestri dell’arte moderna e contemporanea come Antonio Possenti, Mimmo Rotella, Ennio Finzi, Pietro Annigoni, Virgilio Guidi, Mino Maccari e altri grandi nomi è un’esperienza che mi riempie di ispirazione. Questi artisti hanno lasciato un’impronta indelebile nella storia dell’arte, ciascuno con il proprio linguaggio unico, e poter presentare la mia opera accanto alle loro è un riconoscimento che mi spinge a continuare a creare con passione e dedizione. L’asta rappresenta un’occasione straordinaria per celebrare l’arte come mezzo di connessione, capace di attraversare epoche e sensibilità diverse.
Gigarte Casa d’Aste: Un Punto di Riferimento per l’Arte
La scelta di Gigarte Casa d’Aste come cornice per questo evento non è casuale. Situata nel cuore di Viareggio, questa casa d’aste si è affermata come una delle realtà più dinamiche e prestigiose nel panorama dell’arte moderna e contemporanea in Italia. Con una lunga tradizione di eventi che attraggono collezionisti e appassionati da tutto il mondo, Gigarte si distingue per la cura nella selezione delle opere e per la capacità di valorizzare tanto i grandi maestri quanto gli artisti emergenti. La loro attenzione ai dettagli, dalla redazione dei cataloghi alla gestione delle aste, garantisce un’esperienza di alto livello, rendendo ogni evento un momento di scoperta e celebrazione dell’arte.
Gigarte Casa d’Aste è anche nota per la sua capacità di coniugare tradizione e innovazione. La possibilità di seguire l’asta in modalità online attraverso la piattaforma Gigarte.com e ArsValue rende l’evento accessibile a un pubblico globale, permettendo a chiunque, ovunque si trovi, di partecipare con offerte in tempo reale. Questo approccio moderno riflette la visione di Gigarte di rendere l’arte un’esperienza inclusiva, capace di unire appassionati e collezionisti di ogni provenienza.
Un Invito a Partecipare
Vi invito con entusiasmo a seguire l’Asta N.38 Smart Arte Moderna e Contemporanea il 10 luglio 2025 alle ore 17:00 tramite la piattaforma ArsValue. Sarà un’occasione unica per scoprire Twist e le altre straordinarie opere in catalogo, immergendovi in un viaggio attraverso l’arte moderna e contemporanea. Spero che il mio dipinto possa trovare una nuova casa, dove continuare a ispirare e raccontare la sua storia.
Questo momento rappresenta per me non solo un traguardo professionale, ma anche un’opportunità per connettermi con tutti voi che seguite e sostenete il mio lavoro. L’arte è un dialogo, e sono grato di poterlo condividere con voi in questa occasione così speciale.
Con gratitudine e passione,
Roberto Cafarotti
Silvio De Angelis è un nome che risuona tra le onde e i tramonti di Anzio, una città costiera laziale che ha ispirato la sua arte intrisa di mare, luce e paesaggi. Con il suo studio affacciato sul pontile di Anzio, De Angelis ha trasformato la spatola in un’estensione del suo animo, creando opere che catturano l’essenza del litorale con un linguaggio pittorico unico. Questo articolo ripercorre la vita e le opere dell’artista, celebrando il suo stile distintivo, i riconoscimenti ricevuti, come i complimenti di Giulio Andreotti, e l’incontro con Roberto Cafarotti, presidente dell’organizzazione dell’area protetta, che ha acquistato la sua tela Torre Astura.
La Vita di Silvio De Angelis: Dalle Strade di Anzio alla Tela
Silvio De Angelis nasce ad Anzio, una città che porta nel cuore e che diventa il fulcro della sua ispirazione artistica. Fin da giovane, mostra una predisposizione per l’arte, affascinato dai colori del mare e dalla luce che si riflette sulla costa. La sua formazione avviene in modo autodidatta, ma è profondamente influenzata dall’osservazione diretta della natura e dalla tradizione paesaggistica italiana. Anzio, con il suo porto, il pontile e le spiagge, diventa il suo atelier a cielo aperto.
Negli anni, De Angelis si stabilisce in uno studio sul pontile di Anzio, un luogo iconico che gli permette di essere costantemente immerso nel paesaggio che dipinge. Qui, tra il suono delle onde e l’odore di salsedine, l’artista sviluppa il suo stile distintivo, caratterizzato dall’uso magistrale della spatola. La sua carriera prende slancio con mostre locali e regionali, che attirano l’attenzione di critici e collezionisti. Tra i suoi estimatori spicca Giulio Andreotti, figura di spicco della politica italiana, che elogia le sue opere per la capacità di evocare emozioni profonde attraverso il paesaggio.
Oggi, De Angelis continua a dipingere nel suo studio sul pontile, un punto di riferimento per gli amanti dell’arte e per i visitatori di Anzio. La sua dedizione alla pittura non conosce sosta, e le sue tele continuano a raccontare la bellezza senza tempo della sua terra.
Lo Stile con la Spatola: Un Dialogo tra Materia e Luce
Lo stile di Silvio De Angelis è immediatamente riconoscibile per l’uso della spatola, una tecnica che gli permette di creare superfici ricche di texture e di movimento. A differenza del pennello, la spatola consente all’artista di applicare il colore in modo deciso e materico, dando vita a paesaggi che sembrano pulsare di vita. Le sue opere, spesso dedicate al mare e alla costa di Anzio, sono un’esplosione di blu, azzurri e bianchi, con tocchi di giallo e arancione che catturano i riflessi del sole.
La spatola di De Angelis non si limita a descrivere il paesaggio, ma lo interpreta, trasformandolo in un’esperienza emotiva. Le sue onde sembrano infrangersi oltre la tela, i cieli vibrano di luce, e le dune sabbiose raccontano la storia di un litorale incontaminato. La tecnica della spatola, unita a una palette cromatica vivace, crea un effetto quasi tridimensionale, invitando lo spettatore a immergersi nel dipinto.
Le sue opere sono spesso prive di figure umane, lasciando che la natura sia la vera protagonista. Tuttavia, la presenza dell’uomo è implicita: il pontile, le barche, le torri costiere come quella di Astura sono tracce di una relazione intima tra l’umanità e il mare. Questo approccio ha conquistato il pubblico e la critica, rendendo De Angelis una figura di spicco nel panorama artistico laziale.
Le Opere: Torre Astura e il Fascino del Litorale
Tra le opere più rappresentative di Silvio De Angelis spicca Torre Astura, un olio su tela di 100x100 cm che raffigura l’omonima torre costiera fortificata situata nel territorio di Nettuno, a pochi chilometri da Anzio. La tela cattura la maestosità della torre, circondata dal mare e immersa in un paesaggio selvaggio, con la spatola che dona al dipinto una texture vibrante e dinamica. I colori intensi del cielo e dell’acqua riflettono la luce mediterranea, mentre la torre si erge come un simbolo di storia e resistenza.
Torre Astura non è solo un’opera d’arte, ma anche il testimone di un incontro significativo nella carriera di De Angelis. La tela è stata acquistata da Roberto Cafarotti, un artista e presidente dell’organizzazione dell’area protetta di Torre Astura, che ha riconosciuto nel dipinto una celebrazione della bellezza e della fragilità del territorio costiero. Cafarotti, noto per il suo impegno nella tutela ambientale e per la sua passione per l’arte, ha visto in Torre Astura un’opera capace di raccontare la storia e l’identità del luogo, rendendola un simbolo della sua missione.
Altre opere di De Angelis includono vedute del pontile di Anzio, marine al tramonto e paesaggi costieri che esplorano il rapporto tra luce e materia. Le sue tele sono esposte in gallerie locali e collezioni private, e continuano ad attirare l’attenzione per la loro forza espressiva.
I Complimenti di Giulio Andreotti: Un Riconoscimento Illustre
Uno dei momenti più significativi nella carriera di Silvio De Angelis è stato il riconoscimento ricevuto da Giulio Andreotti, storico politico italiano e figura di grande influenza culturale. Andreotti, noto per il suo interesse per l’arte e la letteratura, visitò una mostra di De Angelis ad Anzio e rimase colpito dalla potenza evocativa delle sue opere. Secondo le testimonianze locali, Andreotti elogiò l’artista per la sua capacità di “trasformare il paesaggio in poesia” e per l’energia vitale delle sue tele.
Questo complimento non fu solo un onore personale per De Angelis, ma anche un momento di visibilità che contribuì a consolidare la sua reputazione. La stima di una figura come Andreotti, che aveva un occhio attento per la cultura italiana, confermò il valore universale dell’arte di De Angelis, capace di parlare a un pubblico eterogeneo.
L’Incontro con Roberto Cafarotti: Arte e Tutela Ambientale
L’incontro tra Silvio De Angelis e Roberto Cafarotti rappresenta un punto di incontro tra arte e impegno ambientale. Cafarotti, artista egli stesso e presidente dell’organizzazione dedicata alla tutela dell’area protetta di Torre Astura, ha trovato nell’opera di De Angelis una sensibilità affine alla sua visione. La tela Torre Astura, acquistata da Cafarotti, è diventata un simbolo del loro dialogo: un dipinto che celebra la bellezza naturale di un luogo e, al tempo stesso, ne sottolinea la necessità di protezione.
Cafarotti, che ha trascorso anni a promuovere la conservazione del litorale laziale, ha riconosciuto in De Angelis un artista capace di tradurre in immagini il valore di Torre Astura, un sito di grande importanza storica e naturalistica. L’incontro tra i due è avvenuto nello studio sul pontile di Anzio, dove Cafarotti ha potuto ammirare le opere di De Angelis e scoprire la passione che guida la sua pittura. La scelta di acquistare Torre Astura non è stata solo un gesto di apprezzamento artistico, ma anche un modo per sostenere un messaggio di tutela ambientale attraverso l’arte.
Conclusione: Un Artista che Dipinge l’Anima del Mare
Silvio De Angelis è un artista che vive e respira il mare di Anzio. Dal suo studio sul pontile, con la spatola in mano, continua a creare opere che catturano la luce, il movimento e l’anima del litorale laziale. Le sue tele, come Torre Astura, sono un inno alla bellezza della natura e alla storia di un territorio che merita di essere preservato.
I complimenti di Giulio Andreotti e l’incontro con Roberto Cafarotti testimoniano il potere della sua arte, capace di toccare cuori diversi, dai politici agli ambientalisti. Mentre le onde si infrangono sotto il pontile di Anzio, De Angelis dipinge, raccontando con ogni spatolata la storia di una costa che è al tempo stesso eterna e fragile.
Lucio Diodati, nato nel 1955 a Popoli, un pittoresco borgo sulle colline abruzzesi, è un artista che ha fatto della pittura un linguaggio universale per celebrare la bellezza, la femminilità e la gioia di vivere. La sua carriera, ricca di esposizioni internazionali e di una poetica inconfondibile, si intreccia con una vita vissuta intensamente, tra viaggi, incontri e profonde amicizie, come quella con l’artista Roberto Cafarotti. Questo articolo esplora il percorso di Diodati, le sue opere vibranti e il legame speciale con Cafarotti, nato in pomeriggi di chiacchiere sullo sfondo del suo studio a Popoli.
La Vita di Lucio Diodati: Dalle Colline Abruzzesi a L’Avana
Lucio Diodati scopre la passione per la pittura già durante il liceo, quando inizia a creare le sue prime opere. La sua formazione artistica si consolida nel 1975, con un corso di scenografia presso l’Accademia di Belle Arti di L’Aquila, un’esperienza che lo introduce ufficialmente nel mondo dell’arte. Il punto di svolta arriva nel 1999, con l’incontro con il gallerista Gennaro Fiume, che lo invita a esporre nella sua galleria a Roma, aprendo le porte a una carriera internazionale.
Le prime opere di Diodati si concentrano sulla natura, con campi fioriti dipinti con colori primari e uno stile che richiama la semplicità e la vitalità del paesaggio abruzzese. Tuttavia, a partire dal 1985, con il dipinto Amiche, le donne diventano le protagoniste assolute della sua arte. Corpi femminili stilizzati, abiti retrò e colori accesi raccontano storie di sensualità, ironia e innocenza. Nel 2002, un viaggio a L’Avana segna un’altra svolta: la città cubana diventa una seconda casa, una fonte inesauribile di ispirazione che infonde nelle sue tele i sorrisi e i colori vibranti delle donne cubane.
Oggi, a settant’anni, Diodati non ha perso la sua energia creativa. Nonostante trascorra molte ore in bicicletta, percorrendo chilometri attraverso le colline di Popoli, la pittura rimane il cuore pulsante della sua vita. Recentemente, ha ripreso a lavorare con l’olio su tela, una tecnica che gli permette di esplorare nuove sfumature della sua poetica.
Le Opere: Un Palcoscenico di Donne e Colori
Le tele di Lucio Diodati sono come sipari di un teatro immaginario, dove le figure femminili dominano la scena con una presenza scenografica e magnetica. Le sue donne, spesso rappresentate senza sfondo, sembrano fluttuare in un tempo sospeso, con espressioni che oscillano tra lo stupore e un’ironica malizia. I loro cappellini bizzarri, le scollature audaci e gli sguardi curiosi sono dipinti con una palette cromatica vivace, che richiama il calore del Mediterraneo e l’esuberanza di Cuba.
Diodati utilizza un linguaggio pittorico che mescola elementi cubisti e scenografici, con volumetrie cromatiche che occupano lo spazio della tela in modo quasi tridimensionale. La luce diretta e solare illumina le sue figure, accentuandone l’espressività. Tra i personaggi maschili, spicca Arlecchino, una figura enigmatica con il volto mascherato, che sembra entrare in punta di piedi nelle scene dominate dalle donne, aggiungendo un tocco di mistero.
Le sue opere, esposte in città come New York, Londra, Barcellona e L’Avana, sono un inno alla gioia di vivere, ma anche una riflessione sottile sulla condizione umana. Come scrive il critico Franco Corrado, l’arte di Diodati sottolinea “l’indelebile simbioticità del rapporto uomo-donna” con un pizzico di ironia.
L’Amicizia con Roberto Cafarotti: Pomeriggi di Arte e Vita
Tra le relazioni più significative della vita di Diodati c’è l’amicizia con Roberto Cafarotti, un artista contemporaneo che, pur avendo una formazione diversa (è ingegnere ed esperto di marketing), condivide con lui la passione per la pittura e la narrazione visiva. Cafarotti, nato a Roma e poco più che quarantenne, ha incontrato Diodati a Popoli, un momento che ha segnato profondamente il suo percorso artistico. Da quel giorno, i due hanno trascorso interi pomeriggi nel piccolo studio di Diodati, immersi in conversazioni sull’arte, la vita e la bellezza della figura umana.
Cafarotti racconta di aver appreso da Diodati “l’importanza della figura” nella pittura, un elemento centrale nella poetica di entrambi. Le loro chiacchiere, spesso accompagnate da un bicchiere di vino abruzzese, spaziavano dai segreti della tecnica pittorica alle riflessioni sulla società contemporanea. Questi incontri non erano solo uno scambio artistico, ma un momento di connessione umana profonda, in cui i due artisti si confrontavano con sincerità e apertura.
L’Incontro a Popoli: Lo Studio, la Barista e la Bicicletta
Una visita a Popoli non può che includere un passaggio nello studio di Lucio Diodati, un luogo che riflette la sua personalità: caotico, colorato e pieno di vita. È qui che ho avuto il privilegio di incontrarlo. Lo studio, con le sue tele sparse e i pennelli ancora intrisi di colore, è un microcosmo dove l’arte prende forma. Diodati, con il suo sorriso caloroso, mi ha accolto raccontando aneddoti della sua carriera e mostrando alcune delle sue ultime opere ad olio su tela.
Dopo un pomeriggio di chiacchiere, Lucio ha insistito per portarmi in giro per Popoli, un rituale che ama ripetere per “farsi vedere dagli amici”. La passeggiata mi ha condotto in un piccolo bar del paese, dove mi ha presentato con entusiasmo la sua “musa”: la barista. Con un misto di ironia e affetto, ha descritto come questa donna, con il suo sorriso e la sua autenticità, incarni lo spirito delle figure femminili che popolano le sue tele. È stato un momento che ha rivelato il lato più umano di Diodati, un artista che trova ispirazione non solo nei grandi musei, ma anche nella semplicità della vita quotidiana.
Oggi, Diodati alterna la pittura alle lunghe pedalate in bicicletta, un’attività che lo tiene in contatto con la natura e gli dona nuova energia creativa. “La bicicletta mi libera la mente, proprio come dipingere,” ci ha confessato, con un luccichio negli occhi. Nonostante i chilometri percorsi, non ha mai trascurato la sua passione per l’arte, tornando con rinnovato entusiasmo all’olio su tela, una tecnica che gli permette di esprimere la sua visione con maggiore profondità.
Conclusione: Un Artista che Celebra la Vita
Lucio Diodati è molto più di un pittore: è un narratore di sogni, un celebratore della bellezza femminile e un amico sincero. La sua arte, con le sue donne solari e i colori vibranti, invita a guardare il mondo con occhi pieni di meraviglia. L’amicizia con Roberto Cafarotti, nata tra le mura del suo studio a Popoli, è un esempio di come l’arte possa unire le persone, creando legami che vanno oltre la tela.
Visitare Popoli, passeggiare con Diodati e scoprire la sua musa barista è stato un viaggio nella sua essenza, quella di un uomo che vive l’arte con passione e generosità. Mentre pedala sulle colline abruzzesi, continua a dipingere il mondo con i suoi colori, ricordandoci che la vera opera d’arte è la vita stessa.
Paolo da San Lorenzo (1935-2022) è stato uno degli artisti marchigiani più affascinanti e poliedrici del panorama contemporaneo, un pittore che ha saputo coniugare un’eredità post-cubista con un’espressività unica, capace di catturare l’attenzione di collezionisti in tutto il mondo. Nato a San Lorenzo in Campo, in provincia di Pesaro e Urbino, Paolo Eutizi – questo il suo vero nome – ha lasciato un’impronta indelebile nell’arte del XX e XXI secolo, grazie alla sua visione eclettica e alla sua incessante ricerca di emozioni attraverso il colore e la forma. Questo articolo esplora la sua storia, la sua tecnica, il presunto legame con Pablo Picasso, i suoi soggetti iconici, la vita privata, le sue passioni, il suo studio a Fabriano e l’ampio seguito di collezionisti internazionali.
La Storia di Paolo da San Lorenzo: Un Viaggio tra Italia e il Mondo
Paolo da San Lorenzo nasce nel 1935 in un piccolo borgo delle Marche, San Lorenzo in Campo, un luogo che rimarrà sempre un punto di riferimento nella sua vita e nella sua arte. Dopo una formazione internazionale, che lo vede trasferirsi a Parigi nei primi anni ’60, Paolo inizia il suo percorso pittorico immergendosi nel fermento culturale della capitale francese, all’epoca epicentro delle avanguardie artistiche. È qui che, secondo alcune fonti, avrebbe avuto un contatto con l’eredità di Pablo Picasso, anche se non esistono prove documentali che confermino un rapporto diretto di allievo-maestro. Tuttavia, l’influenza del Cubismo e del Post-Cubismo è evidente nelle sue opere, caratterizzate da una frammentazione delle forme e da un uso audace del colore, che richiama la rivoluzione estetica di Picasso e Braque.
Tornato in Italia nel 1962, Paolo si stabilisce a Fabriano, città nota per la sua tradizione artistica e cartaria, dove apre il suo studio. Qui, la sua carriera decolla attraverso mostre personali e collettive in numerose città italiane, come Roma, Milano e Firenze. La sua fama si espande rapidamente oltre i confini nazionali, grazie alle esposizioni organizzate dalla Galleria Palma Arte in città come Stoccolma, Nizza, Parigi, Dijon, Rouen, fino a mete esotiche come Tahiti e l’Australia. Nel 1995, riceve il prestigioso premio alla carriera “Art e Works” a Melbourne, e dal 1998 il suo nome è inserito nell’annuario Acca in Arte. Tra i traguardi più significativi, spiccano la collaborazione con la JMA Gallery di Vienna nel 2001 e le esposizioni al Museo d’Arte Moderna Moya di Vienna (2008) e al China World Trade Center Exhibition Hall di Pechino (2010).
La Tecnica: Un Caos Controllato di Colore e Forma
La pittura di Paolo da San Lorenzo è un’esplosione di vitalità, dove il colore e la forma si fondono in una danza apparentemente caotica ma profondamente meditata. La sua tecnica si evolve dal Post-Cubismo, con una chiara ispirazione alla scomposizione delle figure tipica di Picasso, ma si arricchisce di un’originalità che riflette la sua personalità inquieta e ribelle. Paolo utilizza colori vivaci, spesso stesi con pennellate energiche e apparentemente casuali, che creano composizioni dinamiche e ricche di movimento. Le sue tele non seguono schemi ripetitivi, ma si rinnovano costantemente, spaziando tra astrattismo e figurazione.
Uno degli elementi distintivi della sua tecnica è l’uso del colore come mezzo per esprimere emozioni profonde. Nei suoi dipinti, il colore non è mai decorativo, ma diventa il veicolo di un dialogo intimo con lo spettatore, evocando stati d’animo che oscillano tra l’entusiasmo e l’inquietudine. Quando la figura umana emerge come protagonista, spesso è la donna a occupare il centro della scena, rappresentata come il “motore del mondo”, un simbolo di forza e seduzione che attraversa molte delle sue opere.
Il Legame con Picasso: Influenza o Leggenda?
Nonostante il riferimento a Paolo come “allievo di Picasso” sia spesso citato, non ci sono prove storiche che confermino un rapporto diretto con il maestro spagnolo. È più probabile che Paolo abbia assorbito l’eredità cubista durante il suo soggiorno a Parigi, dove l’influenza di Picasso era ancora palpabile negli ambienti artistici. La scomposizione delle forme, l’uso di prospettive multiple e l’attenzione alla frammentazione degli oggetti richiamano il Cubismo, ma Paolo rielabora questi elementi in chiave personale, aggiungendo un’impronta emotiva e un’energia che riflettono il suo spirito ribelle. Sebbene non sia stato un allievo diretto, la sua arte può essere vista come un omaggio al rivoluzionario approccio di Picasso, adattato al contesto contemporaneo e arricchito dalla sensibilità marchigiana.
I Soggetti Iconici: Chitarrista, Acquario, Gitane, Portali
I soggetti di Paolo da San Lorenzo sono un riflesso della sua visione poliedrica e del suo legame con il mondo reale e immaginario. Tra i temi ricorrenti troviamo:
  • Chitarrista: Come in molte opere cubiste, la figura del chitarrista è un omaggio alla musica, simbolo di armonia e creatività. Paolo ne offre una reinterpretazione personale, frammentando la figura in piani geometrici e arricchendola con colori vivaci che suggeriscono il ritmo e l’energia della musica.
  • Acquario: L’acquario rappresenta un microcosmo, un mondo chiuso ma vibrante di vita. Nei dipinti di Paolo, i pesci e le forme acquatiche si muovono in uno spazio fluido, dove il colore crea un effetto di trasparenza e movimento, evocando un senso di libertà e mistero.
  • Gitane: Le figure di gitane, con il loro fascino esotico e la loro aura di libertà, sono un tema caro a Paolo. Queste donne, spesso rappresentate con abiti colorati e pose sinuose, incarnano l’idea di una femminilità potente e indipendente, un motivo ricorrente nella sua poetica.
  • Portali: I portali sono un simbolo di passaggio, di transizione tra mondi fisici e spirituali. Nelle opere di Paolo, questi elementi architettonici assumono una dimensione quasi metafisica, con colori intensi e forme che si intrecciano, invitando lo spettatore a esplorare l’ignoto.
Questi soggetti non sono mai rappresentati in modo realistico, ma vengono scomposti e ricostruiti attraverso il linguaggio post-cubista, creando un equilibrio tra astrazione e narrazione.
Vita Privata: Un Uomo Inquieto e Appassionato
Paolo da San Lorenzo era un uomo dal carattere complesso, descritto come “inquieto, irriverente e poco incline ad accettare il grigiore quotidiano”. La sua vita privata riflette questa natura ribelle: prima di dedicarsi completamente alla pittura, Paolo si occupa della lavorazione del cuoio, avviando una produzione di borse che gli permette di finanziare i suoi primi passi nell’arte. La sua passione per le scommesse, in particolare sulle corse dei cavalli, è un aspetto meno noto ma significativo della sua personalità. Questa inclinazione riflette il suo bisogno di adrenalina e di sfida, un tratto che si ritrova anche nella sua arte, sempre alla ricerca di un “impatto con la vita” che lo emozionasse.
Nonostante il suo successo internazionale, Paolo rimane profondamente legato alla sua terra d’origine. A Fabriano, il suo studio diventa un punto di riferimento per estimatori e collezionisti, che arrivano da ogni parte d’Italia e del mondo per ammirare le sue opere. La sua umiltà e schiettezza, ricordate dal sindaco di San Lorenzo in Campo, Davide Dellonti, lo rendono una figura amata nella sua comunità, dove viene celebrato come un “maestro del colore”. Un incidente stradale a Fabriano segna un punto di svolta nella sua vita, portandolo a ridurre gradualmente la sua produzione artistica negli ultimi anni, fino a sospenderla del tutto.
Lo Studio di Fabriano: Un Cenacolo d’Arte
Lo studio di Paolo a Fabriano è molto più di un semplice atelier: è un luogo di incontro, un cenacolo dove si riuniscono amici, artisti e collezionisti. Situato nella città marchigiana famosa per la sua tradizione cartaria, lo studio è il cuore pulsante della sua creatività. Qui, Paolo dà vita alle sue tele, sperimentando con colori e tecniche che riflettono il suo spirito eclettico. Lo studio attira un pubblico internazionale, con estimatori che arrivano da ogni angolo del mondo per acquistare le sue opere o semplicemente per dialogare con l’artista. Tra i suoi ammiratori, il collezionista fanese Massimo Bonifazi conserva ben dodici tele, testimonianza della stima che Paolo riscuoteva.
Collezionisti in Tutto il Mondo: Un Successo Globale
L’arte di Paolo da San Lorenzo ha conquistato un pubblico vastissimo, con collezionisti sparsi in Europa, Australia, Asia e oltre. La sua capacità di parlare un linguaggio universale, unendo l’eredità del Cubismo a una sensibilità contemporanea, ha reso le sue opere appetibili per un mercato internazionale. Mostre come quelle di Vienna, Pechino e Melbourne hanno consolidato la sua reputazione, mentre la collaborazione con gallerie prestigiose come la JMA Gallery e la Palma Arte ha ampliato il suo raggio d’azione. Le sue tele, spesso di grande formato e ricche di colore, sono oggi custodite in collezioni private e pubbliche, simbolo di un’arte che continua a emozionare e provocare.
L’Eredità di Paolo da San Lorenzo
Paolo da San Lorenzo ci ha lasciato nel gennaio 2022, a Lecce, dove si era trasferito negli ultimi anni della sua vita. La sua scomparsa ha segnato la perdita di un artista che ha saputo portare il nome delle Marche nel mondo, con un linguaggio pittorico che unisce tradizione e innovazione. La sua eredità vive nelle sue opere, nelle storie dei suoi soggetti e nella passione che ha animato ogni pennellata. Come disse il sindaco Dellonti, Paolo è stato “una personalità artistica e umana di grande spessore”, capace di lasciare un segno indelebile non solo nella sua comunità, ma in tutto il panorama artistico internazionale.
La sua pittura, provocatoria e vibrante, continua a parlare a chi cerca nell’arte un’esperienza che scuota l’anima, un invito a guardare il mondo attraverso gli occhi di un artista che non si è mai accontentato del grigiore quotidiano.
Fonti:
Celebriamo oggi la straordinaria carriera di Alfonso Borghi, un maestro dell’arte contemporanea italiana, la cui ricerca espressiva ha attraversato decenni, spaziando dalla pittura alla scultura con un’energia creativa inesauribile. Accanto a questa celebrazione, vogliamo mettere in luce il profondo rapporto di collaborazione e amicizia che lega Borghi a Roberto Cafarotti, un legame tra due artisti di generazioni diverse, uniti da una stima reciproca e da una passione condivisa per l’arte.
Gli Inizi: Una Vocazione Precoce
Nato nel 1944 a Campegine, in provincia di Reggio Emilia, Alfonso Borghi si avvicina alla pittura in giovanissima età. A soli 18 anni, grazie al supporto di un collezionista, espone per la prima volta le sue opere, un debutto che segna l’inizio di una carriera lunga e prolifica. Durante un breve soggiorno a Parigi, Borghi entra in contatto con l’arte di Picasso e il Cubismo, influenze che segnano profondamente la sua formazione. Tornato in Italia, l’incontro con George Pielmann, allievo di Oskar Kokoschka, lo spinge verso una ricerca espressionista, che diventerà uno dei tratti distintivi del suo lavoro.
Negli anni ’60 e ’70, Borghi sviluppa un linguaggio pittorico caratterizzato da una figurazione che si evolve verso l’astrazione. La sua capacità di semplificare le forme, mantenendo una forte carica poetica, lo porta a esplorare temi universali come la memoria, l’emozione e il rapporto tra uomo e natura. Le sue tele, spesso di grandi dimensioni, si distinguono per l’uso vibrante del colore e per una gestualità che trasmette energia e vitalità.
L’Evoluzione: Dall’Espressionismo all’Astrattismo
Negli anni ’80, Borghi approfondisce la sua ricerca verso l’astrattismo, un percorso che lo vede semplificare progressivamente le forme figurative per approdare a composizioni astratte di grande impatto emotivo. Come descritto sul sito alfonsoborghi.it, “il qualificarsi della forma astratta, nel corso di semplificazione figurativa già in atto nel lavoro di Borghi, costituisce l’approdo ultimo di una ricerca che non conosce soluzione di continuità nel suo farsi in termini di poesia.”
Parallelamente alla pittura, Borghi si dedica all’arte plastica, lavorando materiali come il vetro, la ceramica e il bronzo. Le sue sculture, che danno una dimensione tridimensionale alle sue visioni pittoriche, sono un esempio della sua versatilità e del suo desiderio di spingersi oltre i confini della tela. Mostre come quella alla Fondazione Mudima di Milano (2023), intitolata I colori raccontano, hanno messo in evidenza questa capacità di tradurre emozioni in forme e colori, sia su tela che in scultura.
Una Carriera Internazionale
La carriera di Borghi è costellata di esposizioni prestigiose in Italia e all’estero. Da Milano a Parigi, da New York a Tokyo, le sue opere hanno conquistato collezionisti e critici per la loro forza espressiva e la loro capacità di raccontare storie universali. Il suo lavoro è stato celebrato in contesti come la Biennale Istituzionale d’Arte, dove è stato riconosciuto tra i maestri del panorama contemporaneo italiano, accanto a nomi come Botero, Nunziante e Lodola.
Le sue tele, spesso realizzate con tecniche miste, come l’opera Presso Campigno (2005, tecnica mista su tela, 50x70 cm), mostrano una padronanza tecnica e una sensibilità cromatica che hanno fatto lievitare le sue quotazioni nel mercato dell’arte. Le sue opere sono presenti in collezioni private e pubbliche, e il suo nome è sinonimo di innovazione e poesia visiva.
Il Legame con Roberto Cafarotti: Un’Amicizia Artistica
Dal 2019, Alfonso Borghi ha trovato in Roberto Cafarotti non solo un collaboratore prezioso, ma un vero e proprio compagno di viaggio artistico. Cafarotti, artista romano noto per le sue opere espressioniste che catturano attimi di vita quotidiana con una sensibilità unica, ha assunto un ruolo di rilievo nella carriera di Borghi, assistendolo nell’organizzazione di mostre in diverse città italiane e contribuendo alla diffusione della sua opera.
Questo rapporto va oltre la semplice collaborazione professionale: è un’amicizia basata sulla stima reciproca e su una visione condivisa dell’arte come espressione della “voce interiore”. Cafarotti, come riportato sul suo sito, descrive il suo mentore Borghi come una figura ispiratrice, che lo ha spronato a proseguire nella sua ricerca espressionista, con particolare attenzione alla figura femminile e ai momenti fugaci della vita quotidiana.
Borghi, a sua volta, apprezza l’approccio di Cafarotti, che definisce “tecnicamente rigoroso” e capace di “cogliere l’attimo”. Le opere di Cafarotti, spesso ispirate a scene intime come una partita a carte o una tavola apparecchiata, riflettono un amore per la vita e una proporzione che derivano da un percorso di studi tecnico, ma anche da una sensibilità che trova eco nell’espressionismo di Borghi.
Due Generazioni, Una Passione
Ciò che rende speciale il legame tra Borghi e Cafarotti è la capacità di unire due generazioni di artisti in un dialogo creativo. Borghi, con i suoi oltre sessant’anni di carriera, rappresenta la tradizione e l’innovazione dell’arte contemporanea italiana; Cafarotti, poco più che quarantenne, porta una freschezza e un’energia che si nutrono dell’esperienza del maestro. Come scrive Cafarotti sul suo blog, “Credo che la Scienza e l’Arte non siano poi così diverse. Lontano da qualche parte esiste un punto dal quale scaturiscono insieme e al quale dobbiamo ambire.” Questa visione, condivisa con Borghi, sottolinea la loro convinzione che l’arte sia un mezzo per accedere a una verità universale.
Borghi, dal canto suo, ha sempre incoraggiato Cafarotti a esprimere la propria autenticità, “togliendo i filtri” per raggiungere una verità personale che sia parte della verità di tutti.
Conclusione
Alfonso Borghi è un artista che ha dedicato la sua vita alla ricerca della bellezza e della poesia, spaziando dalla pittura figurativa all’astrattismo, dalla tela alla scultura. La sua carriera, iniziata a 18 anni e ancora in piena evoluzione, è un esempio di come il talento e la passione possano trasformare la realtà in visioni universali. Sul blog di Roberto Cafarotti, non possiamo che celebrare questo maestro, ma anche l’amicizia che lo lega a Cafarotti, un artista che, pur appartenendo a una generazione diversa, condivide con lui la stessa dedizione all’arte.
Questa collaborazione, fatta di mostre, progetti e conversazioni, è la prova che l’arte non ha età, ma vive di incontri, di ispirazioni reciproche e di un desiderio comune di “abbracciare chi guarda, fino a farne parte.” Continuate a seguire il nostro blog su www.cafarotti.it per scoprire di più su questi due straordinari artisti e sul loro viaggio nel mondo dell’arte contemporanea.
Per approfondire la carriera di Alfonso Borghi, visita www.alfonsoborghi.it. Per conoscere le opere di Roberto Cafarotti, esplora www.cafarotti.it.
L’arte di Antonio Sciacca è un viaggio affascinante tra realismo, simbolismo e una profonda connessione con la sua terra natale, la Sicilia. Nato a Catania nel 1957, Sciacca si è affermato come uno dei più importanti artisti contemporanei italiani, con un linguaggio pittorico che unisce una straordinaria precisione tecnica a significati profondi e complessi. Sul nostro sito, cafarotti.it, celebriamo oggi il suo contributo all’arte contemporanea, mettendo in luce non solo la sua maestria, ma anche il dialogo artistico che lo lega a un altro talento eccezionale, Roberto Cafarotti.
Un Realismo Carico di Simbolismo
Antonio Sciacca è riconosciuto per il suo stile iperrealista, che cattura la realtà con una precisione quasi fotografica, ma la trascende attraverso un uso sapiente del simbolismo. Le sue opere, spesso oli su tela di grandi dimensioni, esplorano temi come la memoria, l’identità e il consumismo, con una sensibilità che riflette la sua "sicilianità" – un termine che, come sottolinea il critico Pierre Restany, non si limita a un folklore superficiale, ma scava in una dimensione intima e senza tempo.
La sua pittura si distingue per la capacità di trasformare oggetti quotidiani – come libri, conchiglie o maschere – in simboli carichi di significato. Ad esempio, nel dipinto Libri e uovo (2000), Sciacca utilizza una tecnica iperrealista per riprodurre con precisione fiamminga i materiali e gli effetti della luce, ma l’inserimento di elementi simbolici, come l’uovo, suggerisce temi di rinascita e fragilità. Questa fusione di realismo e simbolismo crea un effetto paradossale: le sue opere sembrano fotografie, ma al contempo evocano un senso di mistero e geometria, come descritto in annunci di vendita che ne sottolineano la qualità "magnifica" e "ricchissima di mistero".
Negli anni ’90, Sciacca ha fondato a Bologna il movimento del Metropolismo, un progetto pittorico-culturale che affronta tematiche sociali come il consumismo e il valore degli status symbol. Questo movimento, che ha coinvolto artisti internazionali e ha ricevuto il plauso di critici come Achille Bonito Oliva e Vittorio Sgarbi, ha portato le sue opere in prestigiose sedi espositive, come l’Istituto Italiano di Cultura di Madrid (1995) e il Museo del Risorgimento a Roma (2000). Il Metropolismo riflette la capacità di Sciacca di osservare il quotidiano con occhio critico, trasformando oggetti banali in icone di una società moderna ossessionata dall’apparenza.
Un Dialogo tra Maestri: Sciacca e Cafarotti
Un aspetto affascinante della carriera di Antonio Sciacca è il rapporto di stima reciproca con Roberto Cafarotti, artista romano noto per la sua pittura poliedrica e onirica. I due si sono scambiati complimenti che testimoniano non solo il rispetto professionale, ma anche una profonda sintonia artistica.
Sciacca descrive l’arte di Cafarotti con parole entusiastiche: "Cafarotti ha una pittura poliedrica, originale ed onirica, che ricorda molto quella di Eric Fischl. È un artista contemporaneo di grande valore." Questo paragone con Fischl, maestro americano del realismo contemporaneo, evidenzia la capacità di Cafarotti di creare opere che intrecciano narrazioni personali e collettive con un linguaggio visivo che sfiora il sogno. La sua pittura, come quella di Sciacca, non si limita a rappresentare la realtà, ma la reinterpreta attraverso un filtro emotivo e immaginativo.
Dal canto suo, Cafarotti ricambia il riconoscimento con altrettanto entusiasmo: "Si vede che Sciacca è nato per dipingere e che ha avuto da subito un talento straordinario. Non solo la precisione stilistica, ma anche l’utilizzo eccellente dei contrasti di colore." Queste parole sottolineano la maestria tecnica di Sciacca, la sua capacità di dominare la luce e il colore per creare composizioni che colpiscono per la loro vividezza e profondità.
La Sicilia come Musa
La sicilianità di Sciacca è un elemento centrale della sua poetica. Come scrive il critico Alberto Sala, “Antonio Sciacca, pittore siciliano, è uscito dai sotterranei del Convento dei Cappuccini, a Palermo, gremiti di morti…”. Questa immagine evocativa sottolinea come la memoria storica e culturale della Sicilia permei le sue opere, non in modo folkloristico, ma come una forza interiore che si manifesta in dettagli sottili e simbolici. La sua Sicilia è “senza età, segreta e intima”, lontana dagli stereotipi di carretti e feste popolari, ma radicata in una dimensione archetipica e universale.
Le sue nature morte, come Conchiglie e vaso o Modella con cappello viola (2013), sono esempi perfetti di questa sensibilità. Gli oggetti rappresentati non sono semplici elementi decorativi, ma simboli esoterici che rimandano a temi di eternità, trasformazione e bellezza. La sua tecnica iperrealista, che richiama maestri come Claudio Bravo e Zurbarán, si combina con una visione contemporanea che rende ogni dipinto un’esperienza visiva e concettuale unica.
Un Artista in Ascesa
Il valore di Antonio Sciacca è riconosciuto non solo dalla critica, ma anche dal mercato dell’arte. Le sue opere, spesso descritte come “gioielli” per la loro qualità tecnica e simbolica, hanno visto una rivalutazione del 400% negli ultimi 15 anni, secondo Artprice. La sua presenza in collezioni private e musei, insieme al plauso di critici come Sgarbi e Bonito Oliva, lo consacra come un artista di livello internazionale, le cui quotazioni continuano a crescere.
Conclusione
Antonio Sciacca è un artista che incarna la fusione tra tradizione e modernità, tra la precisione del realismo e la profondità del simbolismo. La sua arte, radicata nella Sicilia ma capace di parlare un linguaggio universale, continua a ispirare e affascinare. Il dialogo con Roberto Cafarotti, fatto di stima reciproca e riconoscimento del talento, arricchisce ulteriormente il panorama artistico contemporaneo, mostrando come due sensibilità diverse possano convergere in una visione comune: quella di un’arte che non si limita a rappresentare, ma che sa evocare, emozionare e provocare.
Sul nostro sito, cafarotti.it, celebriamo questi due maestri, la cui passione e creatività continuano a illuminare il mondo dell’arte contemporanea.
La street art, nata come atto di ribellione e espressione spontanea, si è trasformata in un linguaggio artistico globale, capace di conquistare gallerie e musei. Due figure emblematiche di questa evoluzione sono Jone Hopper e Skepa, artisti francesi che, partendo dai muri delle città, sono diventati astri nascenti dell’arte contemporanea. Le loro storie, intrecciate attraverso il collettivo TBS (The Brutal Style) e il movimento BAFO, raccontano una transizione unica dalla strada alle sale espositive, mantenendo viva l’essenza cruda e autentica dei graffiti. In questo articolo, esploriamo le loro carriere, il loro approccio artistico e alcune curiosità che li rendono figure affascinanti e misteriose del panorama artistico odierno.
Jone Hopper: L’Enigma della Street Art
Nato nel 1977, Jone Hopper è un artista francese che incarna lo spirito puro della street art. Alla fine degli anni ’80, quando il movimento dei graffiti inizia a prendere piede in Europa, Hopper si forma nelle strade, taggando il suo nome su muri e treni. Le sue firme aerosol e i suoi personaggi stilizzati diventano un marchio distintivo, capace di catturare l’attenzione per la loro immediatezza e forza visiva. Insieme a Skepa e altri artisti underground, fonda il collettivo TBS (The Brutal Style), un gruppo che celebra l’estetica grezza e l’attitudine ribelle dei graffiti.
Hopper è un enigma. Fedele alla filosofia della street art, rifiuta la celebrità personale, scegliendo l’anonimato per lasciare che siano le sue opere a parlare. Assente dai social media e dalle inaugurazioni delle mostre, è noto solo a pochi galleristi che custodiscono il segreto della sua identità. Descrive il suo processo creativo come un pezzo di hip-hop: “Io sono un campionatore. Campiono, taglio, assemblo e creo nuove immagini”. Questo approccio, che richiama il cut-up e il collage, fonde elementi della cultura urbana con riferimenti all’arte classica e contemporanea, creando opere che sono al tempo stesso nostalgiche e innovative.
Curiosità su Jone Hopper:
  • Influenza hip-hop: Hopper ha dichiarato che la sua arte è profondamente influenzata dalla cultura hip-hop, non solo nella tecnica, ma anche nell’attitudine. Come un DJ che remixa tracce, lui remixa immagini, mescolando spray, pastelli e acrilici su tela.
  • Opere senza volto: Una delle sue opere più note, Humanity is Ignorant, è un esempio di mixed media che combina graffiti e messaggi socio-politici, mantenendo il suo stile “brutale” e diretto.
Skepa: Il Visionario del Cubismo Organico
Nato nel 1978, Skepa è un pittore, scultore e artista visivo francese che rappresenta una fusione unica tra formazione accademica e ribellione di strada. Laureato all’École Nationale Supérieure des Beaux-Arts di Lione, Skepa inizia il suo percorso artistico nei primi anni ’90, immergendosi nel mondo dei graffiti sotto l’influenza di maestri come Basquiat, Seen, Cope2, Haring, JonOne, Condo e Banksy. L’incontro con Jone Hopper e la fondazione del collettivo TBS segnano una svolta decisiva, spingendolo a esplorare un’arte più sperimentale e audace.
Skepa è anche cofondatore del movimento BAFO, un collettivo che promuove un approccio innovativo all’arte contemporanea, rompendo con le convenzioni tradizionali. La sua pittura, descritta dai critici come “un UFO con molteplici tentacoli”, mescola un cubismo organico a un figurativo destrutturato, creando opere che sfidano la visione “igienizzata” dell’arte contemporanea. Traendo ispirazione da Brauner, Matisse, Corneille, Braque, Picasso, Gauguin e persino dall’arte pompier, Skepa ha sviluppato un linguaggio visivo che attraversa epoche e stili, spaziando dall’arte classica al modernismo. Con oltre 1200 opere in tutti i medium, è uno degli artisti più prolifici nel mercato dell’arte online, con una presenza significativa su piattaforme come Artsper e ArtMajeur.
Curiosità su Skepa:
  • Produzione vertiginosa: Skepa è noto per la sua straordinaria prolificità, con più di 1200 opere che includono dipinti, sculture e installazioni. Questa produzione lo rende una figura di spicco nel mercato dell’arte digitale.
  • Influenza del movimento BAFO: Il movimento BAFO, cofondato da Skepa, si concentra sull’esplorazione di forme espressive non convenzionali, spesso integrate con elementi di attivismo culturale. Sebbene i dettagli su BAFO siano scarsi, è considerato un’evoluzione del TBS, con un’enfasi maggiore sull’ibridazione tra generi artistici.
  • Aste dedicate: Skepa ha attirato l’attenzione di piattaforme come Catawiki, che hanno organizzato aste specifiche dedicate alle sue opere, segno della sua crescente popolarità tra i collezionisti.
Parallelismi e Sinergie: TBS e l’Eredità della Strada
Jone Hopper e Skepa condividono un percorso che parte dalle strade e si evolve verso l’arte contemporanea, ma le loro storie si intrecciano soprattutto attraverso il collettivo TBS (The Brutal Style). Fondato nei primi anni ’90, TBS rappresenta un momento di svolta per entrambi, un laboratorio creativo dove la cultura dei graffiti si mescola con l’attivismo e la sperimentazione. Mentre Hopper rimane fedele all’anonimato, Skepa adotta un approccio più visibile, sfruttando la sua formazione accademica per costruire ponti tra la strada e le gallerie.
Entrambi gli artisti trasformano l’energia grezza dei graffiti in un linguaggio universale. Hopper, con il suo campionamento visivo, crea opere che evocano il ritmo e la spontaneità dell’hip-hop. Skepa, con il suo cubismo organico, esplora nuove frontiere, mescolando influenze classiche e moderne in modo audace. Insieme, rappresentano una nuova generazione di artisti che non solo hanno conquistato il mercato dell’arte, ma hanno anche ridefinito il ruolo della street art nel panorama culturale.
Curiosità sul collettivo TBS:
  • Un nome, molte voci: TBS non era solo un collettivo artistico, ma anche un movimento di resistenza culturale, che utilizzava i graffiti come forma di protesta contro l’establishment artistico dell’epoca.
  • Collaborazioni misteriose: Sebbene Hopper e Skepa siano i nomi più noti, altri membri del TBS rimangono anonimi, contribuendo al mito del collettivo come forza underground.
L’Impatto sul Mercato dell’Arte
Sia Hopper che Skepa hanno trovato un pubblico globale grazie alle piattaforme online. Le opere di Hopper, spesso disponibili su siti come Kunstveiling e Artpeers, attirano collezionisti per la loro rarità e autenticità. Skepa, con la sua produzione prolifica, domina il mercato digitale, con opere che spaziano da tele di grandi dimensioni a sculture sperimentali. Entrambi dimostrano come la street art possa trascendere i suoi confini originari, diventando un fenomeno culturale che parla a un pubblico eterogeneo.
Conclusione
Jone Hopper e Skepa sono due facce della stessa medaglia: artisti che hanno trasformato i graffiti da gesto ribelle a linguaggio artistico riconosciuto a livello internazionale. Hopper, con il suo anonimato e il suo approccio da “campionatore”, e Skepa, con la sua formazione accademica e il suo cubismo organico, incarnano la versatilità e la potenza della street art contemporanea. Le loro storie, arricchite da curiosità e dettagli sul loro percorso, ci ricordano che l’arte nasce ovunque ci sia creatività, che sia su un muro di periferia o in una galleria di prestigio. Per scoprire di più su Skepa, visita il suo sito ufficiale (Skepa.fr), mentre per Hopper, la ricerca delle sue opere rimane un’avventura nel mistero dell’arte senza volto.
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