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Storia dell'Arte

Storia dell'Arte (5)

Giacomo Manzù: Un Gigante della Scultura che ha Segnato la Mia Vita
Scritto da Roberto Cafarotti
Quando ero un bambino di appena sette o otto anni, ad Ardea, un piccolo comune in provincia di Roma, la mia vita ha incrociato quella di un gigante dell’arte: Giacomo Manzù. Non ero consapevole, allora, della grandezza di quell’uomo che viveva a pochi passi da casa mia, nella località di Campo del Fico, oggi ribattezzata Colle Manzù in suo onore. Ma il fascino delle sue sculture, la potenza delle sue forme e l’atmosfera della sua dimora mi hanno segnato profondamente, piantando in me un seme che avrebbe influenzato il mio percorso artistico. Questo è il mio omaggio a Manzù, un viaggio nella sua vita, nelle sue opere e nel modo in cui ha ispirato un ragazzo curioso di un piccolo paese laziale.
Un Incontro con l’Arte a Ardea
Era la metà degli anni ’80, e Ardea era un luogo semplice, immerso nella quiete della campagna pontina, non lontano dal mare. La mia famiglia viveva lì, e io, un bambino pieno di energia, passavo le giornate esplorando i dintorni. Un giorno, quasi per caso, mi ritrovai davanti alla villa di Manzù, un luogo che sembrava uscito da un altro mondo. La sua casa, che oggi è parte del Museo Giacomo Manzù, era un’oasi di creatività. Ricordo di essere entrato in quel giardino, tra pini marittimi e sculture che sembravano danzare con la luce del sole. Tra queste, c’era “Nastro”, una scultura in bronzo dalla forma sinuosa che, nonostante il peso del materiale, sembrava fluttuare. Ero troppo giovane per capire la tecnica, ma quella leggerezza mi colpì come un incantesimo.
Fu durante una di quelle visite che vidi per la prima volta i crateri etruschi, oggetti che Manzù teneva nella sua collezione privata. Quei vasi antichi, con le loro forme eleganti e misteriose, sembravano raccontare storie di un passato remoto. Per un bambino come me, erano quasi magici, e il modo in cui Manzù li osservava, con rispetto e curiosità, mi fece intuire che l’arte non era solo creazione, ma anche dialogo con il passato. Quei crateri, con le loro linee essenziali e la loro aura arcaica, avrebbero influenzato il mio modo di vedere le forme, spingendomi anni dopo a cercare una sintesi tra semplicità e profondità nelle mie opere.
La Vita di Giacomo Manzù: Da Bergamo a Colle Manzù
Giacomo Manzù, nato Giacomo Manzoni a Bergamo il 22 dicembre 1908, era il dodicesimo figlio di un calzolaio e sagrestano. La sua infanzia umile non gli permise di seguire un percorso accademico tradizionale, ma il suo talento per la scultura si manifestò presto. Autodidatta, apprese l’arte di lavorare il legno da giovanissimo, e durante il servizio militare a Verona (1927-1928) studiò le porte bronzee di San Zeno, che lo ispirarono profondamente. Nel 1929, dopo un breve soggiorno a Parigi, si stabilì a Milano, dove ottenne la sua prima commissione importante: la decorazione della cappella dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (1931-1932).
Negli anni ’30, Manzù iniziò a farsi notare con esposizioni alla Triennale di Milano e alla Galleria Cometa di Roma, condividendo lo studio con l’amico pittore Aligi Sassu. La sua arte, però, prese una svolta significativa durante la Seconda Guerra Mondiale. I bassorilievi sulla morte di Cristo, iniziati nel 1939, non erano solo opere religiose, ma un grido contro la brutalità del regime fascista e gli orrori della guerra. Queste “Crocifissioni” usarono il tema sacro per denunciare la violenza, un approccio che mi ha sempre colpito per la sua capacità di fondere spiritualità e impegno sociale.
Nel 1964, Manzù si trasferì ad Ardea, in quella villa che divenne il cuore della sua produzione matura. Qui, circondato dalla natura e dalla storia – non lontano dall’antica rocca di Ardea e dal leggendario corso d’acqua dell’Incastro citato nell’Eneide – trovò l’ispirazione per alcune delle sue opere più celebri. Tra queste, la Porta della Pace e della Guerra per la chiesa di Saint Laurens a Rotterdam (1965-1968) e la monumentale Porta della Morte per la Basilica di San Pietro (1947-1964), commissionata dal suo amico e conterraneo Papa Giovanni XXIII.
Le Opere: Un Dialogo tra Sacro e Profano
Le sculture di Manzù sono un ponte tra tradizione e modernità. Le sue figure, spesso in bronzo, trasmettono una straordinaria vitalità. Pensiamo ai Cardinali, una serie iniziata nel 1938, con circa 300 variazioni: figure rigide, quasi totemiche, che incarnano il peso della spiritualità e del potere. Oppure agli Amanti, un ciclo iniziato nel 1965, in cui il nudo femminile è celebrato con una sensualità delicata e poetica.
Un tema che mi ha sempre affascinato è quello delle figure femminili, spesso ispirate a Inge Schabel, la ballerina che Manzù conobbe a Salisburgo nel 1954 e che divenne sua moglie e musa. Opere come Pattinatrice (1958) o Giulia e Mileto in carrozza (dedicata ai suoi figli) mostrano un’attenzione ai dettagli e un’umanità che rendono ogni scultura un racconto vivo. Inge, con la sorella Sonja, fu la modella di molti ritratti, e il suo volto stilizzato ricorda a volte le forme dei crateri etruschi che tanto mi colpirono da bambino.
Nel 1969, Manzù inaugurò il Museo Amici di Manzù ad Ardea, donando nel 1979 oltre 460 opere allo Stato Italiano. La raccolta include sculture, disegni, incisioni e bozzetti teatrali, molti dei quali realizzati tra il 1950 e il 1970, il periodo della sua maturità artistica. Tra le opere più significative ci sono il bassorilievo Adamo ed Eva (1929), il David (1939) e il Cestino di frutta (anni ’80), un omaggio a Caravaggio che dimostra la sua maestria nel bronzo dorato.
L’Influenza di Manzù sul Mio Percorso Artistico
Incontrare Manzù, anche solo attraverso le sue opere e la sua casa, ha avuto un impatto profondo su di me. Da bambino, non potevo comprendere la complessità della sua arte, ma sentivo la forza emotiva delle sue sculture. Le linee fluide, la capacità di rendere il bronzo quasi vivo, la tensione tra il sacro e il profano mi hanno insegnato che l’arte può essere un linguaggio universale, capace di parlare al cuore di chiunque, anche di un bambino di Ardea.
I crateri etruschi che vidi nella sua villa mi hanno ispirato a esplorare la storia e le sue forme antiche, cercando di catturare nelle mie opere quella stessa essenzialità. Come Manzù, ho imparato a guardare alla figura umana non solo come forma, ma come portatrice di emozioni e storie. La sua capacità di fondere il classicismo con la modernità, il personale con l’universale, è stata una guida per il mio lavoro. Ogni volta che modello una figura o progetto una composizione, penso a quel giardino di Ardea, a quelle sculture che sembravano respirare, e cerco di infondere nelle mie creazioni la stessa anima.
Una Eredità che Vive
Giacomo Manzù è morto il 17 gennaio 1991 nella sua villa-museo di Ardea, lasciando un’eredità che continua a ispirare artisti e amanti dell’arte in tutto il mondo. La sua ultima grande opera, Mother and Child (1989), una scultura in bronzo alta sei metri donata all’ONU, è un inno alla vita e alla pace, un testamento alla sua visione umanistica.
Per me, Manzù non è solo il “Michelangelo del XX secolo”, come qualcuno lo ha definito, ma un maestro che mi ha insegnato a vedere l’arte come un atto d’amore. La sua Ardea, quel luogo che ho conosciuto da bambino, rimane un simbolo di creatività e connessione con la storia. Spero che il Museo Giacomo Manzù, con le sue opere straordinarie, continui a essere un faro per le nuove generazioni, così come lo è stato per me.
L’arte di Antonio Sciacca è un viaggio affascinante tra realismo, simbolismo e una profonda connessione con la sua terra natale, la Sicilia. Nato a Catania nel 1957, Sciacca si è affermato come uno dei più importanti artisti contemporanei italiani, con un linguaggio pittorico che unisce una straordinaria precisione tecnica a significati profondi e complessi. Sul nostro sito, cafarotti.it, celebriamo oggi il suo contributo all’arte contemporanea, mettendo in luce non solo la sua maestria, ma anche il dialogo artistico che lo lega a un altro talento eccezionale, Roberto Cafarotti.
Un Realismo Carico di Simbolismo
Antonio Sciacca è riconosciuto per il suo stile iperrealista, che cattura la realtà con una precisione quasi fotografica, ma la trascende attraverso un uso sapiente del simbolismo. Le sue opere, spesso oli su tela di grandi dimensioni, esplorano temi come la memoria, l’identità e il consumismo, con una sensibilità che riflette la sua "sicilianità" – un termine che, come sottolinea il critico Pierre Restany, non si limita a un folklore superficiale, ma scava in una dimensione intima e senza tempo.
La sua pittura si distingue per la capacità di trasformare oggetti quotidiani – come libri, conchiglie o maschere – in simboli carichi di significato. Ad esempio, nel dipinto Libri e uovo (2000), Sciacca utilizza una tecnica iperrealista per riprodurre con precisione fiamminga i materiali e gli effetti della luce, ma l’inserimento di elementi simbolici, come l’uovo, suggerisce temi di rinascita e fragilità. Questa fusione di realismo e simbolismo crea un effetto paradossale: le sue opere sembrano fotografie, ma al contempo evocano un senso di mistero e geometria, come descritto in annunci di vendita che ne sottolineano la qualità "magnifica" e "ricchissima di mistero".
Negli anni ’90, Sciacca ha fondato a Bologna il movimento del Metropolismo, un progetto pittorico-culturale che affronta tematiche sociali come il consumismo e il valore degli status symbol. Questo movimento, che ha coinvolto artisti internazionali e ha ricevuto il plauso di critici come Achille Bonito Oliva e Vittorio Sgarbi, ha portato le sue opere in prestigiose sedi espositive, come l’Istituto Italiano di Cultura di Madrid (1995) e il Museo del Risorgimento a Roma (2000). Il Metropolismo riflette la capacità di Sciacca di osservare il quotidiano con occhio critico, trasformando oggetti banali in icone di una società moderna ossessionata dall’apparenza.
Un Dialogo tra Maestri: Sciacca e Cafarotti
Un aspetto affascinante della carriera di Antonio Sciacca è il rapporto di stima reciproca con Roberto Cafarotti, artista romano noto per la sua pittura poliedrica e onirica. I due si sono scambiati complimenti che testimoniano non solo il rispetto professionale, ma anche una profonda sintonia artistica.
Sciacca descrive l’arte di Cafarotti con parole entusiastiche: "Cafarotti ha una pittura poliedrica, originale ed onirica, che ricorda molto quella di Eric Fischl. È un artista contemporaneo di grande valore." Questo paragone con Fischl, maestro americano del realismo contemporaneo, evidenzia la capacità di Cafarotti di creare opere che intrecciano narrazioni personali e collettive con un linguaggio visivo che sfiora il sogno. La sua pittura, come quella di Sciacca, non si limita a rappresentare la realtà, ma la reinterpreta attraverso un filtro emotivo e immaginativo.
Dal canto suo, Cafarotti ricambia il riconoscimento con altrettanto entusiasmo: "Si vede che Sciacca è nato per dipingere e che ha avuto da subito un talento straordinario. Non solo la precisione stilistica, ma anche l’utilizzo eccellente dei contrasti di colore." Queste parole sottolineano la maestria tecnica di Sciacca, la sua capacità di dominare la luce e il colore per creare composizioni che colpiscono per la loro vividezza e profondità.
La Sicilia come Musa
La sicilianità di Sciacca è un elemento centrale della sua poetica. Come scrive il critico Alberto Sala, “Antonio Sciacca, pittore siciliano, è uscito dai sotterranei del Convento dei Cappuccini, a Palermo, gremiti di morti…”. Questa immagine evocativa sottolinea come la memoria storica e culturale della Sicilia permei le sue opere, non in modo folkloristico, ma come una forza interiore che si manifesta in dettagli sottili e simbolici. La sua Sicilia è “senza età, segreta e intima”, lontana dagli stereotipi di carretti e feste popolari, ma radicata in una dimensione archetipica e universale.
Le sue nature morte, come Conchiglie e vaso o Modella con cappello viola (2013), sono esempi perfetti di questa sensibilità. Gli oggetti rappresentati non sono semplici elementi decorativi, ma simboli esoterici che rimandano a temi di eternità, trasformazione e bellezza. La sua tecnica iperrealista, che richiama maestri come Claudio Bravo e Zurbarán, si combina con una visione contemporanea che rende ogni dipinto un’esperienza visiva e concettuale unica.
Un Artista in Ascesa
Il valore di Antonio Sciacca è riconosciuto non solo dalla critica, ma anche dal mercato dell’arte. Le sue opere, spesso descritte come “gioielli” per la loro qualità tecnica e simbolica, hanno visto una rivalutazione del 400% negli ultimi 15 anni, secondo Artprice. La sua presenza in collezioni private e musei, insieme al plauso di critici come Sgarbi e Bonito Oliva, lo consacra come un artista di livello internazionale, le cui quotazioni continuano a crescere.
Conclusione
Antonio Sciacca è un artista che incarna la fusione tra tradizione e modernità, tra la precisione del realismo e la profondità del simbolismo. La sua arte, radicata nella Sicilia ma capace di parlare un linguaggio universale, continua a ispirare e affascinare. Il dialogo con Roberto Cafarotti, fatto di stima reciproca e riconoscimento del talento, arricchisce ulteriormente il panorama artistico contemporaneo, mostrando come due sensibilità diverse possano convergere in una visione comune: quella di un’arte che non si limita a rappresentare, ma che sa evocare, emozionare e provocare.
Sul nostro sito, cafarotti.it, celebriamo questi due maestri, la cui passione e creatività continuano a illuminare il mondo dell’arte contemporanea.
Antonio Ligabue: L’anima selvaggia dell’arte
Antonio Ligabue (1899-1965) è una figura unica nel panorama artistico italiano, un pittore naif che ha trasformato il tormento interiore in tele vibranti, popolate da animali feroci, paesaggi rurali e autoritratti che gridano solitudine e passione. La sua vita, segnata da difficoltà mentali, povertà e isolamento, è un racconto di resilienza e creatività, che oggi trova finalmente il riconoscimento che merita. In questo articolo, intrecceremo la storia di Ligabue con alcune informazioni inedite condivise da Roberto Cafarotti, artista contemporaneo che ha vissuto tre anni nelle terre del Po, vicino a Gualtieri, dove Ligabue ha lasciato il suo segno.
Un’infanzia tormentata e l’arrivo in Italia
Nato a Zurigo da madre italiana, Antonio Ligabue (al secolo Antonio Laccabue) ebbe un’infanzia travagliata. Abbandonato dalla madre biologica e cresciuto in una famiglia adottiva, fu segnato da problemi di salute e instabilità mentale. Espulso dalla Svizzera nel 1919, arrivò a Gualtieri, in Emilia-Romagna, sulle rive del Po, senza conoscere la lingua italiana e con un senso di estraneità che lo accompagnerà per tutta la vita. Qui, in un contesto rurale e spesso ostile, iniziò a esprimere la sua arte, dapprima in modo rudimentale, vivendo quasi come un eremita.
Roberto Cafarotti, che ha esplorato a fondo i luoghi di Ligabue, racconta di aver visitato l’Isola degli Internati, un’area isolata lungo il Po, dove Ligabue viveva in condizioni primitive, immerso nella natura. “Era un luogo selvaggio, quasi fuori dal tempo. Ligabue dormiva tra gli alberi, si nutriva di ciò che trovava. La sua connessione con la natura era viscerale, e si riflette nei suoi dipinti di tigri, leoni e serpenti, che sembrano usciti da un sogno febbrile.”
L’arte come rifugio e il sostegno di un amico
Nonostante le difficoltà, Ligabue trovò nell’arte un modo per canalizzare il suo mondo interiore. Le sue opere, caratterizzate da colori vivaci e contorni netti, non seguivano le convenzioni accademiche, ma erano cariche di un’energia primitiva. Tuttavia, come ricorda Cafarotti, “Ligabue non era sano di mente. Fu un artista locale, mosso a compassione, a prenderlo sotto la sua ala, insegnandogli tecniche basilari di pittura e dandogli i primi materiali.” Questo gesto di solidarietà fu cruciale: senza quel sostegno, forse Ligabue non sarebbe mai emerso.
Eppure, la sua vita rimase segnata dall’isolamento. “Nessuno lo apprezzava a Gualtieri,” racconta Cafarotti. “I bambini avevano paura di lui, lo consideravano un folle. Le donne lo evitavano, e si dice che non abbia mai conosciuto l’amore. Non ha mai baciato nessuno, una solitudine che traspare nei suoi autoritratti, dove gli occhi sembrano implorare un contatto umano.” Ligabue barattava i suoi quadri per beni di prima necessità, come galline o cibo, un dettaglio che sottolinea la sua povertà e l’indifferenza del mondo verso il suo talento.
Paralleli con Van Gogh
Non è difficile tracciare parallelismi tra Ligabue e Vincent van Gogh, come osserva Cafarotti: “Entrambi erano spiriti tormentati, incompresi, con un amore totalizzante per l’arte. Come Van Gogh, Ligabue dipingeva per necessità interiore, non per fama. E come lui, ha trovato riconoscimento solo dopo la morte.” Entrambi vissero ai margini della società, lottando contro demoni interiori, e le loro opere, inizialmente ignorate, sono oggi celebrate per la loro autenticità e potenza espressiva.
La riscoperta di Ligabue
Negli ultimi anni, l’interesse per Ligabue è cresciuto enormemente. La mostra attualmente in corso a Bologna (fino al 2026, presso Palazzo Albergati) celebra la sua opera, mettendo in luce la forza emotiva dei suoi dipinti. Inoltre, il film Volevo nascondermi (2020), diretto da Giorgio Diritti e interpretato da un magistrale Elio Germano, ha portato la sua storia a un pubblico più ampio, vincendo numerosi premi, tra cui l’Orso d’Argento a Berlino. Il titolo del film, tratto da una frase dello stesso Ligabue, riflette il suo desiderio di nascondersi dal mondo, ma anche la sua incapacità di soffocare la propria creatività.
Cafarotti ricorda l’immagine finale della vita di Ligabue: “Morì su un letto, ormai incapace di dipingere, dopo anni di sofferenze fisiche e mentali. Ma fino all’ultimo, la sua passione per l’arte non si è spenta.” Oggi, le sue tele valgono milioni, e il suo nome è sinonimo di un’arte pura, non contaminata dalle mode.
Un artista naturale e folle
Antonio Ligabue è stato un artista “naturale”, come lo definisce Cafarotti, guidato da un istinto incontrollabile e da una follia che era al tempo stesso limite e dono. Le sue tigri ruggenti, i suoi autoritratti dolenti e i suoi paesaggi emiliani sono un testamento alla forza dell’arte come espressione dell’anima. In un mondo che lo ha respinto, Ligabue ha trovato rifugio nei suoi pennelli, lasciando un’eredità che continua a ispirare.
Se vi trovate a Bologna, non perdete la mostra dedicata a questo genio incompreso. E se mai vi capiterà di passeggiare lungo il Po, vicino a Gualtieri, fermatevi un momento: potreste quasi sentire l’eco di un uomo che, tra la solitudine e la natura, ha trasformato il dolore in bellezza.

Scritto con il contributo di Roberto Cafarotti, artista contemporaneo che ha vissuto tre anni nei luoghi di Antonio Ligabue, esplorando la sua storia e il suo legame con il territorio.

Roberto Cafarotti entra nella lista dei pittori contemporanei noti per il loro lavoro sulla figura umana, in particolare femminile, con un approccio che richiama lo stile espressivo e realista simbolico.

Tra gli artisti di rilievo nel panorama contemporaneo e per il loro contributo all’arte figurativa, oltre a Renato Guttuso, troviamo:

 

1. Mimmo Paladino (nato nel 1948, Paduli)  

   - Esponente della Transavanguardia, Paladino crea figure femminili stilizzate con un linguaggio simbolico e arcaico, spesso su tele di grandi dimensioni. Le sue opere, cariche di riferimenti mitologici, sono molto quotate, con vendite che raggiungono centinaia di migliaia di euro in asta.(https://www.superprof.it/blog/pittori-contemporanei-italiani-emergenti/)

 

2. Enzo Cucchi (nato nel 1949, Morro d’Alba)  

   - Altro protagonista della Transavanguardia, dipinge figure femminili in contesti onirici e primitivi, con una forte carica emotiva. Le sue opere sono presenti in collezioni internazionali e hanno quotazioni elevate, spesso superando i 100.000 euro.(https://www.superprof.it/blog/pittori-contemporanei-italiani-emergenti/)

 

3. Nicola Samorì (nato nel 1977, Forlì)  

   - Conosciuto per il suo stile neo-barocco, Samorì rappresenta figure femminili in modo drammatico, spesso manipolando la superficie pittorica. Le sue opere sono molto ricercate, con prezzi che variano da 20.000 a oltre 100.000 euro in asta.(https://www.kooness.com/it/post/magazine/10-pittori-figurativi-contemporanei)

 

4. Valerio Berruti (nato nel 1977, Alba)  

   - Specializzato in figure femminili e infantili, utilizza un linguaggio minimalista con colori tenui. Le sue opere, spesso su carta o pannelli, sono quotate tra 10.000 e 50.000 euro, con crescente interesse nei mercati internazionali.(https://www.harpersbazaar.com/it/cultura/arte/a33861501/10-pittori-italiani-contemporanei-su-cui-investire/)

 

5. Giovanni Frangi (nato nel 1959, Milano)  

   - Le sue figure femminili emergono in paesaggi lirici con pennellate energiche e colori vivaci, richiamando il realismo di Guttuso. Le sue opere hanno quotazioni medie tra 15.000 e 80.000 euro.(https://www.harpersbazaar.com/it/cultura/arte/a33861501/10-pittori-italiani-contemporanei-su-cui-investire/)

 

6. Matteo Massagrande (nato nel 1959, Padova)  

   - Rappresenta figure femminili in interni realistici, con un’attenzione alla memoria e alla luce. Le sue opere, apprezzate per il dettaglio, hanno quotazioni tra 10.000 e 60.000 euro.(https://www.harpersbazaar.com/it/cultura/arte/a33861501/10-pittori-italiani-contemporanei-su-cui-investire/)

 

7. Alessandro Papetti (nato nel 1958, Milano)  

   - Le sue figure femminili, spesso in movimento, sono dipinte con pennellate rapide e intense. Le sue opere raggiungono prezzi tra 20.000 e 100.000 euro nelle aste.(https://www.kooness.com/it/post/magazine/10-pittori-figurativi-contemporanei)

 

8. Marco Cingolani (nato nel 1961, Como)  

   - Combina figurazione e pop art, con figure femminili in contesti narrativi. Le sue opere, con quotazioni tra 5.000 e 30.000 euro, sono apprezzate per il loro dinamismo.(https://www.kooness.com/it/post/magazine/10-pittori-figurativi-contemporanei)

 

9. Alessandro Pessoli (nato nel 1963, Cervia)  

   - Le sue figure femminili, spesso fragili e psicologicamente intense, mescolano iconografie classiche e contemporanee. Le sue opere sono quotate tra 10.000 e 50.000 euro.(https://www.kooness.com/it/post/magazine/10-pittori-figurativi-contemporanei)

 

 

10. Sandro Chia (nato nel 1946, Firenze)  

    - Altro esponente della Transavanguardia, rappresenta figure femminili robuste e sensuali, con quotazioni che variano tra 50.000 e 200.000 euro. (https://www.superprof.it/blog/pittori-contemporanei-italiani-emergenti/)

 

11. Luigi Ontani (nato nel 1943, Vergato)  

    - Le sue figure femminili, spesso mitologiche, sono dipinte in uno stile eclettico. Le sue opere hanno quotazioni tra 20.000 e 100.000 euro. (https://www.superprof.it/blog/pittori-contemporanei-italiani-emergenti/)

 

12. Roberto Ferri (nato nel 1978, Taranto)  

    - Con un approccio neo-barocco, dipinge figure femminili drammatiche e sensuali, con richiami al Caravaggio. Le sue opere sono quotate tra 15.000 e 80.000 euro.

 

13. Omar Galliani (nato nel 1954, Montecchio Emilia)  

    - Specializzato in grandi disegni e dipinti di figure femminili, con un’estetica romantica e dettagliata. Le sue opere raggiungono quotazioni tra 10.000 e 60.000 euro.

 

Tuesday, 15 October 2024 22:36

Il Colore del Sangue di Nerone (Sergio Terzi)

Written by

Tratto dal mio libro del 2020..

 

https://books.apple.com/it/book/il-colore-del-sangue-di-nerone-sergio-terzi/id1527104776

 

Sono sul mio divano. Il divano di Sara. Vedo un quadro astratto di Nerone, appena sopra la punta dei miei piedi. Ho sentito che l'astratto viene con la maturità. Con la padronanza. Ho sempre però creduto che ad una certa età, avanzata, sia anche più veloce la raffigurazione. Non si è forse più tanto precisi nei dettagli. Si deve comunicare con un nuovo linguaggio. Semplice nella stesura e complesso nell'interpretazione. 

A Fabriano anni prima conobbi il pittore Paolo da San Lorenzo. Un allievo di Picasso si diceva. Dipinse finché potè la mano. Gli ultimi mesi provò l'astratto. Era il suo astratto non ci sono dubbi. Capii che quella è una forma espressiva elevata. Finale. Il messaggio era diverso. Ogni artista esprime se stesso. Per raccontarsi agli altri. Oppure per liberarsi.

Seduti sul tavolino, uno di fronte all'altro chiesi a Nerone. Come ti senti adesso. Sei soddisfatto di quello che hai fatto. Mi rispose che l'arte lo faceva stare meglio. Che per lui era un modo di liberarsi. La risposta era calma. Di chi ha raggiunto una certa pace dei sensi. Di chi non può alzarsi la mattina senza espellere dai propri pori il colore. Quel sangue che bolle dentro, dopo anni di sofferente, prova ad uscire dal pennello, per fare meno male. Una grave patologia. Chi si taglia i polsi per far uscire il dolore. Un grande atto di coraggio. Chi dipinge e getta il colore sulla tela, trasformando la lesione in vita. E' la creazione. Il colore del sangue di Nerone schizza via dalle sue mani. Attraverso i pennelli. Per voler vivere ancora. Fino all'ultimo respiro. 

Sono seduto sul divano. Sopra la punta dei miei piedi spunta un quadro astratto di Nerone. Vedo la guerra. Il sangue. Le bestie. Il male che vince sul bene. La morte che prende chiunque. La dignità che appiattisce gli uomini. Tutti uguali. Di fronte al soccombere. Eppure ancora una pennellata. Perché possa uscire tutto, quel male. Perché possiamo noi essere migliori. Se ci liberiamo del sangue che bolle. Fino ad intiepidire l'animo. A chiudere gli occhi e poter finalmente sognare. Senza la preoccupazione di lottare. Ricevendo dalla natura. Quello di buono che ogni uomo merita.

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